“THE WATCHER”, libro denuncia sulla tratta degli schiavi negli anni ’30.
Di Serena Cirillo
Il mondo deve sapere. E’ il messaggio che non si stanca mai di ripetere, quasi come un mantra, lo scrittore Len Cooper, già giornalista per il Washington Post, riferendosi alle incresciose vicende a sfondo razzista che si perpetravano negli Stati Uniti durante gli anni ’30 del secolo scorso (non del 1800!), quando la tratta dei neri e la schiavitù erano state abolite da più di cinquant’anni, ma solo sulla carta.
E’ questo il motivo per cui l’autore ha pubblicato il suo ultimo libro, intitolato “The Watcher”, che si può definire un romanzo storico, mettendo insieme tutti gli articoli facenti parte di un’inchiesta che ha scritto per il Washington Post nel 1996 e che lo ha consacrato cronista del noto quotidiano. La prima presentazione dell’opera, in lingua originale, si terrà sabato 9 marzo alle 11 nella sede dell’American International Women Club, presso la chiesa Anglicana in via San Pasquale, a Napoli. La versione italiana del romanzo, intitolata “L’osservatore”, è disponibile on line.
La storia che Cooper racconta, narrata in prima persona dal protagonista, Cleveland Gibbs, e costruita grazie alle numerose testimonianze che l’autore ha raccolto con cura, è la storia di tanti afro americani che, ancora negli anni ’50, venivano rapiti e letteralmente usati come schiavi nelle piantagioni di cotone del Sud degli Stati Uniti (Alabama, Mississippi, Georgia e altri). Accusati di crimini che non avevano mai commesso e trascinati in tribunale con futili pretesti, gli adulti venivano condannati a seguito di processi truccati e orchestrati, senza neanche troppa cura, da una giuria di bianchi al potere in un ambiente totalmente corrotto. Corrotti erano anche gli avvocati d’ufficio, che di conseguenza nulla potevano per difenderli. La condanna consisteva in una multa salatissima se volevano evitare il carcere, che però non avrebbero mai potuto pagare in quanto erano stati preventivamente privati di ogni loro avere. Al processo era presente una specie di eminenza grigia detto “The watcher” (l’osservatore n.d.r.), che, approfittando della disperazione dei condannati, offriva di pagare la multa per loro a patto che la riscattassero con un periodo limitato di lavoro in una piantagione di cotone. Non avendo altra scelta, i malcapitati accettavano, grati a colui che sembrava un benefattore, e ignari di aver firmato la loro condanna a morte. Se avevano dei minori al seguito, a questi toccava la stessa sorte. Per i ragazzi invece, il percorso era tragicamente più semplice: venivano rapiti per strada e deportati immediatamente.
Le vittime venivano trascinate nelle piantagioni dove credevano di dover lavorare per riscattare il proprio debito e ottenere la libertà, ma in realtà non ne uscivano mai. Erano tenuti prigionieri e costretti al silenzio dietro minaccia di morte, in effetti chiunque provasse a ribellarsi o a scappare è stato ucciso brutalmente, a bastonate o a frustate, dopo una lenta agonia tra le torture più atroci. Altri sono morti per malattie contratte a causa di condizioni di vita insostenibili o di stenti. In sintesi, nel decennio che va dal 1920 al 1930 negli Stati Uniti si è consumato un vero e proprio genocidio in cui hanno perso la vita circa diecimila afro-americani, anche se non è stato possibile stabilirne il numero con esattezza perché la vicenda è stata tenuta nascosta dalla pubblica sicurezza e dalle autorità giudiziarie. Ogni tentativo di far emergere la verità è stato insabbiato o represso con la forza, di conseguenza le notizie non sono mai arrivate oltreoceano.
Len Cooper, raccogliendo le testimonianze del nonno, di amici di famiglia e di conoscenti, i pochi che sono sopravvissuti a quelle piantagioni strutturate come veri e propri lagher, si è impegnato in un lavoro certosino per portare alla luce la verità. La storia raccontata da un ragazzo catturato e messo a lavorare in una piantagione a soli 9 anni, e sapientemente riportata dall’autore nella sua ultima opera “The watcher” è autentica in ogni minimo dettaglio. La capacità narrativa è potente, di una forza che arriva dentro l’anima del lettore squarciandola come una pugnalata. Lo stile diretto, ma mai crudo. Anche nella descrizione delle torture Cooper è capace di toccare un lirismo quasi poetico, come solo una creatura estremamente sensibile riesce a fare. Si legge tutto di un fiato e lascia senza fiato.