SE LO FAI TU, LO FACCIO ANCH’IO
Di Luciano Scateni
Fa paura dar credito alla ipotesi sociologica che imputa all’emulazione l’intollerabile reiterazione di reati: femminicidi, bullismo, violenze sessuali, e pur se con motivazioni di altra natura le morti’ bianche’, gli omicidi stradali, in senso lato le guerre di religione e di espansione neocolonialista. Fa paura scoprire la connessione perversa, parallela, dei bambini che ingenuamente imitano i coetanei e i comportamenti degli adulti che azzerano i freni inibitori “perché lo fanno altri. Criminologi e psicoterapeuti, operatori dell’informazione fingono di ignorarlo e l’esito di questa ‘trascuratezza’ resta fuori dall’analisi della crescente disumanità. Come definire chi uccide mogli, compagne, fidanzate con decine di coltellate senza provare ribrezzo per sé stesso e senza immaginare la tragedia di decenni rinchiuso in carcere? Da questo estremo trae motivi di riflessione il caso Acerbi-Juan Jesus, sicuramente minore, ma per nulla trascurabile del razzismo che non risparmia lo sport. “Vattene negro”, questa l’ingiuria del giocatore interista rivolta al difensore brasiliano” del Napoli. Ai primi, interessati dubbi sull’autenticità di quanto denunciato immediatamente da Juan Jesus, che chiede e ottiene la sospensione della partita prevista per episodi del genere, risponde Acerbi senza valutarlo come boomerang: si scusa, intuisce le conseguenze dell’offesa arrecata. Alla brutta vicenda fanno seguito due risvolti. Acerbi è escluso dalla nazionale impegnata in due amichevoli e il brutto episodio è affidato al giudice sportivo, che (influenzato dalla Federazione?), sentenzia “Discriminazione razziale non provata” perché non ci sarebbero testimoni auricolari dell’ingiuria. Insomma, il giocatore se la cava e il racconto del poi grida vendetta. Acerbi che non ha mai negato la frase razzista rivolta a Juan Jesus e trova un inaspettato difensore nel presidente della Figc Gravina che smania per abbracciare Acerbi “bravo ragazzo”. I media nord centrici si accodano al coro di assoluzioni e lui, il “bravo ragazzo” esulta, braccia al cielo per il coro di amore viscerale che gli tributa lo stadio amico. Manca poco che stampa e istituzioni calcistiche mettano in stato di accusa Juan Jesus. Il perché del replay di un altro caso di razzismo impunito: chi assolve Acerbi è potenzialmente colpevole di indurre a operare come lui, a compiere episodi analoghi di razzismo, che siano o no atleti, a insultare. Considerata la conclusione dell’episodio rievocato, saranno certi di non incorrere nel reato di razzismo. purché lontani da orecchie in ascolto. La considerazione travalica il mondo dello sport, assume la bieca dimensione di esempio esportato in ambiti molo più gravi, fatto proprio, per emulazione, da uomini che uccidono le donne perché rifiutano di essere ‘cose’ di loro ‘proprietà, da baby gang che bullizzano compagni ‘fragili’, da imprenditori senza scrupoli che non tutelano la vita dei lavoratori, da tiranni di mezzo mondo, colpevoli di stragi impunite in mezzo mondo.