Intervista esclusiva alla storica dell’arte e curatrice Giusy Caroppo
a cura del sociologo e critico d’arte Maurizio Vitiello.
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È difficile concretizzare opere in diverse discipline operative, oggi?
Credo sia il trend attuale dell’arte contemporanea, muoversi in maniera trans-disciplinare.
Ci sono artisti che – pur mantenendo una cifra stilistica coerente che li rende sempre e comunque riconoscibili – utilizzano medium differenti, dalla scultura alla pittura, al video, all’installazione.
Il ruolo del curatore o/e del critico d’arte è anche quello di far tenere la barra dritta all’artista affinché questa multidisciplinarietà non sia applicata per mera moda quanto per la sincera necessità di esprimersi con linguaggi nuovi, a seconda dei contesti, del tema di una mostra, della venue o del target di riferimento.
Vuoi trasferirti a Parigi, Londra o NY?
Bella domanda, a cinquantasette anni suonati!
A dir la verità potrei lavorare a Londra con a/political – di cui sono curatorial consultant – organizzazione che attiva una forma di mecenatismo per la ricerca “radicale” e che sostiene artisti, piattaforme collettive, pensatori che intendono minare le narrazioni convenzionali con una mission politica ma apartitica, sino a raccogliere una collezione di arte moderna e contemporanea di riferimento.
L’organizzazione ha stretto collaborazioni a lungo termine con rinomati musei, tra cui la Tate Modern di Londra, appunto.
Spesso mi hanno chiesto di trasferirmi, per collaborare direttamente con loro, perché apprezzano il mio taglio curatoriale e, dicono, il mio coraggio; ma credo siano scelte che si possano realizzare quando non si hanno oneri familiari e comunque in giovane età; ho preferito, pertanto, portare in Italia alcuni degli artisti che loro sostengono – Kendell Geers, Andres Serrano, Andrei Molodkin, Franko B, Oleg Kulik – e collaborare in questa forma “a distanza”.
È come stare lì, in effetti.
Peraltro, mantengo anche un filo diretto con Parigi e la Francia: sono stata di recente ospitata sempre da a/political per meeting tra pensatori, attivisti, artisti e curatori nei pressi di Lourdes, nella Foundry, il loro quartier generale e centro di produzione, gestito da Molodkin.
Quali progetti vorresti sviluppare nel 2024 e dove e con chi?
Ho appena chiuso la mostra “Backbone Crossing Ratio” di Robert Gligorov, promossa dal Comune di Todi, intervento artistico fuori e dentro il Palazzo del Popolo e da qualche mese ho proposto alla Regione Puglia un’idea di più interventi che puntellerebbero la Puglia secondo il criterio del “Circuito del Contemporaneo”.
Primo tra tutti, ho ottenuto la disponibilità di Olafur Eliasson per il Parco Archeologico di Egnazia, nei pressi dei luoghi scelti per il G7, progetto che spero possa realizzarsi quanto prima.
Inoltre, lo scorso anno ho presentato delle idee di mostre sia collettive che personali al MAXXI di Roma, incrocio le dita che almeno una si possa realizzare se non nel 2024, il prossimo anno.
La stampa ti ha seguito, ultimamente?
Devo dire che lo ha fatto, gratificandomi, in occasione delle mostre a Todi, dell’ultima come dell’importante collettiva “Amami”, organizzata da Giampaolo Abbondio a Todi nell’autunno 2023 e poi per altri progetti di marketing territoriale.
Credo di avere un discreto seguito sui social – che oggi hanno un po’ soppiantato la stampa specializzata – e che io utilizzo soprattutto per veicolare le mie iniziative, senza filtri.
Dò più peso all’editoria con cui cerco di lasciare tracce concrete del mio operato: tra fine 2023 e il ’24 ho pubblicato quattro cataloghi (Victory of Democracy, Inhuman, Schiavulli solo Exhibition, Terrafuoco) e dato il mio contributo per un importante saggio nel tomo “Promemoria” dell’Accademia di Belle Arti di Bari“.
Direi che la stampa sembra, oggi, particolarmente interessata alle attività che svolgo con l’Accademia di Belle Arti di Foggia, dove insegno da qualche anno: una nuova esperienza in cui riesco a mettere a frutto anche le relazioni maturate in più di vent’anni di attività, anche trasversali rispetto all’arte contemporanea; penso, ad esempio, al bell’incontro con Riccardo Scamarcio che ha avuto molta risonanza. E tra le novità, posso anticipare l’invito accolto da Michelangelo Pistoletto che impreziosirà la riapertura dell’Accademia a ottobre.
Hai partecipato a Fiere d’Arte?
Quando curavo Intrameonia Extra Art eravamo costanti nell’avere uno stand ad Arte Fiera a Bologna. Comunque, cerco di seguirle sempre, così come avviene per i forum internazionali, la Biennale di Venezia in particolare.
Non mi interessa l’aspetto “commerciale” dell’arte, quanto seguire come gira il gusto corrente.
C’è, tuttavia, una certa omologazione tra le Fiere, specie in Italia, quindi vista una le hai viste un po’ tutte.
Credi che l’arte andrà avanti su altri canoni e codici?
Certamente, l’evoluzione è naturale.
Credo ci possa essere una “smitizzazione” dell’artista come singolo a favore del collettivo, questo anche perché la produzione artistica è spesso frutto di processi sociali e ricerche antropologiche, di lavoro di gruppo trans-disciplinare. Dovremmo, tuttavia, fare una netta distinzione tra quali siano i codici in Italia e i codici preferiti nel resto del mondo.
Credo che la visione italiana sia obsoleta e ingessata, legata sempre e comunque all’”arte povera” e al “concettuale”, considerati linguaggi ancora attuali e contemporanei, mentre il resto del mondo si muove anche per il recupero della manualità, delle tipicità identitarie, della pittura e della scultura più tradizionali, della forza del colore, ad esempio.
Anche l’arte digitale, la net art, l’arte interattiva o metodi di diffusione e investimento come gli NFT sono diventati ormai “maggiorenni” … niente di nuovo, insomma.
Attualmente, il mercato dell’arte è florido?
Credo sia in crisi se lo intendiamo come codificato vent’anni fa, affidato, prevalentemente, alle gallerie e alle fiere d’arte.
Se l’e-commerce ha ucciso ogni ambito del commercio “fisico”, stessa cosa è avvenuto per l’arte: i siti on line, il promuoversi in proprio e anche l’immensa offerta che offre la rete ha certamente drogato il mercato dell’arte e reso meno influente il ruolo delle gallerie che – prima sorretto dal forte legame con le lobby dei musei, delle Fiere e della aste – oggi non vendono certamente ai prezzi di alcuni anni fa.
Perché l’arte va avanti, nonostante alti livelli epidemici e stati di guerra?
L’arte, quella vera, ci fa sognare, legge il presente e apre il nostro sguardo sul futuro: non morirà mai.
Anzi, è proprio nei momenti di difficoltà e di passaggio, subito prima e dopo le guerre mondiali ad esempio, che sono state partorite le migliori espressioni artistiche della storia dell’umanità.
Vedi la tua città nel contesto attendibile del circuito dell’arte contemporanea?
Direi che ho sempre cercato di inserire Barletta in un contesto internazionale. Essendo, tuttavia, un privato, un libero professionista e direttrice artistica di una realtà no profit (Eclettica Cultura dell’Arte) non posso dare continuità se non c’è condivisione delle Istituzioni.
Ho cercato di farlo in maniera più sistematica con il “Programma di valorizzazione del Palazzo della Marra”, sede della Pinacoteca De Nittis, che portò dieci anni fa all’acquisizione gratuita del bene immobile al patrimonio della città e che prevedeva il Museo come fulcro di un sistema tra moderno e contemporaneo, ma anche legato all’archeologia (Canne della Battaglia) di area vasta.
Spero che un giorno tutto questo possa diventare strutturale e non un’ipotesi progettuale, perché mi rendo conto che quando parlo di “Circuito del Contemporaneo” tutti ricordano il Castello di Barletta quale spettacolare sede per grandi mostre di rilievo internazionale (On the ground /Underground, Victory of Democracy, Inhuman, la personale di Francesco Schiavulli, artista pugliese che adoro) a volte in ensemble con la Pinacoteca De Nittis, dove riuscii a ospitare anche Jan Fabre.
Il tuo prossimo obiettivo espositivo?
Come accennavo, attendo che la Regione promuova e sostenga l’importante intervento di Olafur Eliasson a Egnazia e, poi, con l’Accademia di Belle Arti di Foggia, grazie alla lungimiranza e attivismo del direttore, l’artista Pietro Di Terlizzi, stiamo mettendo a punto l’idea di una grande mostra collettiva proprio a Barletta nell’autunno 2024, in partnership con “Opera Omnia”, progetto multidisciplinare a cura di Francesco Asselta, autore teatrale e gestore del Cinema Opera di Barletta, finanziato dal bando regionale “Radici e Ali”.