Intervista esclusiva al sociologo e artista Antonio Ciraci
a cura del sociologo e critico d’arte Maurizio Vitiello.
È difficile concretizzare opere in diverse discipline operative, oggi?
Oggi, come ieri, può essere difficile, ma poco importa.
Nel senso che, avendo avuto, personalmente, esperienze sia nell’ambito della Figurazione Materica che in quello dell’Informale, quindi due segmenti apparentemente opposti, io penso che in termini esecutori, la linea di confine tra i due è molto labile ed estesa, tale da annullare quasi le distanze.
Ciò che voglio intendere è che quando la materia usata e il gesto pittorico
trasformano il soggetto reale in oggetto non immediatamente identificabile e viceversa, il rapporto tra formale e informale perde la sua netta dicotomicità. L’iconico e l’aniconico si riavvicinano, fino, a volte, a fondersi e confondersi.
Vuoi trasferirti a Parigi, Londra o NY?
E perché?
Bellissime città, per carità.
Offrono senza dubbio immense possibilità.
Ma come Uomo e come Artista sto benissimo qui, nella mia Campania.
Quali progetti vorresti sviluppare nel 2024 e dove e con chi?
Per quest’anno è tutto già programmato.
Tra ottobre e dicembre avrò tre personali in Ontario e, per l’occasione, ma solo per quella, viaggerò oltreoceano.
La stampa ti ha seguito, ultimamente?
Abbastanza negli ultimi dieci anni.
E di questo, devo dire la verità, ne sono contento.
Hai partecipato a Fiere d’Arte?
In passato tante volte.
L’ultima è stata a Padova un paio d’anni fa.
Giuro, non farò più esperienze del genere.
Credi che l’arte andrà avanti su altri canoni e codici?
Sicuramente, sì.
E, sicuramente, molti artisti li perseguiranno e si inventeranno nuovi circuiti mercatali a essi connessi.
Attualmente, il mercato dell’arte è florido?
In Italia e in tutto il Sud dell’Europa non lo è (a parte qualche rara eccezione). Nel Nord Europa e Nord America ci sono più disponibilità e più opportunità. Ovviamente, tutto dipende da cosa proponi e come lo proponi.
Perché l’arte va avanti, nonostante alti livelli epidemici e stati di guerra?
Perché, oggi più di ieri, riesce – in alcuni casi – a proporre aspetti profondi, a volte proprio legati o strettamente correlati proprio a quegli stati di crisi che il caso o l’uomo stesso provocano scelleratamente.
Vedi la tua città nel contesto attendibile del circuito dell’arte contemporanea?
Napoli è un’eterna incompiuta, un po’ come la Sagrada Familia di Barcellona. Ciò è il suo limite, ma anche il suo motore.
E’ stata, in un ormai lontano passato una grande capitale che faceva “tendenza”, anche e soprattutto in campo artistico ed estetico in generale. Oggi è, di per sé, sempre piena di aspettative e di buone intenzioni, ma che non ha quasi mai la forza o il coraggio di portare a compimento, per tante diverse ragioni.
Prima fra tutte è che non siamo più un Popolo per sé, ma solo un Popolo in sé.
Il tuo prossimo obiettivo espositivo?
Dopo il Canada?
Vorrei vedere come “reagiscono” Malta (nel centro del Mediterraneo) e la Germania (nel centro della vecchia Europa) e, poi, magari tornare con una grande personale nella mia Napoli.