A proposito dell’illusione finanziaria

A proposito dell’illusione finanziaria

di Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali Lucani

In una delle sue lettere dal carcere, Ernesto Rossi affermava che se si è disposti a giustificare la dittatura plutocratica, non ci si può indignare seriamente contro la dittatura del proletariato.

Nel ricordare a me stesso le parole del buon Ernesto, affermo che ora, subito, occorre interrogarsi su quale sia oggi la natura del capitalismo. Il capitalismo, scatenatosi ovunque nel mondo dopo il crollo del Muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica, è soprattutto un capitalismo finanziario e di speculazione e non di produzione di beni e servizi.
Per dirla con le parole di Guido Rossi “il capitalismo autoritario risulta vincente su quello liberaldemocratico, tradito ormai dalla globalizzazione del mercato e da uno sviluppo tecnologico dirompente. Globalizzazione e tecnologia hanno via via trasformato il capitalismo di produzione in un capitalismo finanziario: un'arena nella quale la creazione di valore nei beni prodotti ha ceduto alla speculazione basata sul debito, sia privato che pubblico”.

Bruce Bartlett, il più esperto consulente politico delle amministrazioni Reagan e Bush, ha sostenuto, ed ha assolutamente ragione, che la finanziarizzazione dell’economia sia la causa delle diseguaglianze di reddito, della riduzione dei salari e dell’aumento della povertà.

Nel settembre del 2008 il totale dei prodotti finanziari aveva raggiunto il valore nominale di 640 trilioni di dollari, quattordici volte il Pil di tutti i paesi del pianeta messi assieme. Nel 2010 – come ci ricordano in “Come on” – il volume delle operazioni di Borsa aveva raggiunto i quattro trilioni di dollari al giorno, esclusi i cosiddetti e famigerati “derivati”, definiti da Warren Buffet “armi di distruzione di massa”. Mentre i citati scambi raggiungevano l’iperbolica cifra di cui ho riferito, l’insieme delle esportazioni e delle importazioni di tutti i beni e servizi di un giorno ammontava solo al 2% dei sopra citati 4 trilioni. Inutile ricordare che qualsiasi transazione che non serva a pagare beni e servizi è per definizione una mera speculazione. Nel 2011, quarantacinque delle cinquanta multinazionali più importanti del mondo non producevano beni o servizi: erano banche o compagnie assicurative.
La verità è che la grande finanza sta consumando l’economia e le nostre vite e anche le nostre sgangherate democrazie. Secondo l’ex giudice della Corte Suprema Usa, John Paul Stevens, il governo degli Stati Uniti ha mutato la sua natura da governo dei cittadini a governo delle corporation.
Ci sono potenti multinazionali che hanno più potere di alcuni stati ed è del tutto evidente la forte influenza esercitata dagli investitori e dalle imprese private più potenti sul ceto politico di tutto il mondo. Un’influenza che si traduce in scelte che di certo non assecondano il bene comune e la giustizia sociale.
La politica e le nostre istituzioni nazionali e non solo nazionali sono assolutamente incapaci di fare da argine e da contraltare a poteri che per loro natura sono transnazionali.
La “mano invisibile” del mercato e del mercatismo ci sta prendendo a schiaffi e a pedate. Dovremmo, affermo, recuperare un po’ di economia sociale di mercato. Non è accettabile né una ideologia di puro mercato, né una statalista, ma di certo sono possibili e auspicabili sinergie tra i due ambiti.
Aveva ragione da vendere il prof. Fulco Lanchester quando affermava che “la grande finanza internazionale e le stesse burocrazie che caratterizzano l’epoca della globalizzazione tendono a svalutare il momento democratico rappresentativo, perché non funzionale e pericoloso, ammiccando a modelli alternativi”.
In un suo interessante saggio, il banchiere francese Gael Giraud scrive: “Detto che la finanza è fondamentale per il funzionamento di un’economia evoluta, la finanza da sola non basta. E anzi, lasciata a sé stessa, essa può fare molti danni. Soprattutto quando prende il sopravvento il «feticcio della liquidità», cioè la patologia dei mercati finanziari che sono interessati solo ai rendimenti di breve periodo. Facendo cadere intere economie nella trappola della liquidità: in un sistema globale nel quale continuano a fluttuare enormi quantità finanziarie, la finanza, oltre ad avere effetti negativi in termini di distribuzione del reddito e dislocazione delle risorse, rischia di creare una cronica instabilità nella quale è difficile crescere […].
Se avessimo la capacità di abbandonare schemi, stereotipi, totem e tabù ci accorgeremmo che è esattamente quello che sta accadendo e che questo sistema è davvero pernicioso.
Non credo di esagerare se affermo che occorrerebbe una svolta culturale che preluda a una nuova economia; un’economia che torni ad essere al servizio dell’uomo.
Cos’è progresso? Siamo certi che progresso faccia rima con sviluppo? E poi quale “sviluppo”? Quale società stiamo costruendo? Verso quale futuro stiamo andando?
Scrive ancora Giraud: “Che, a dispetto del ripresentarsi di un crac ogni quattro anni in media, le nostre società continuino a tollerare lo sviluppo di mercati non regolamentati dimostra la forza dell’illusione finanziaria”.
Le nostre società, le nostre vite, sono strette in una morsa: da una parte democrazie che sono sempre più democrazie reali e l’incombere di nuove forme di totalitarismo e dall’altra un capitalismo finanziario e autoritario o se volete un capitalismo reale.
É in corso una guerra sporca contro stati, comunità, persone, contro chi produce e chi lavora; contro chi è povero e si ritrova sempre più povero. Milioni di persone vengono trattate come se fossero spazzatura. Si negano dignità e diritti umani. Io credo che oggi più che mai occorra ricordare a tutti e a ciascuno i dimenticati articoli 22, 23, 24 e 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Nel farlo, ripeto anche che non può esserci pace senza giustizia sociale.

Art. 22 – Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Art. 23 – 1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.
Art. 24 – Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.
Art. 25 – 1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

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