di Pino Cotarelli
Napoli – Si è svolto il 20 maggio 2022, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, un interessante incontro che ha voluto ripercorrere, con sguardo critico, il progetto di restyling di via Partenope, approvato dalla giunta di De Magistris e portato avanti da quella attuale del sindaco Manfredi, mettendo in risalto aspetti critici e discutibili realizzazioni estetiche oltre che a segnalare alcune inutilità di spesa. Alla riunione, dove si sono alternati interventi accorati di diversi rinomati professionisti, è stata rilevata una totale assenza della stampa e delle autorità politico/amministrative della città, ancorché convocate. Noi eravamo presenti e abbiamo voluto ribadire con nostri interventi, al di là della eventuale condivisione delle problematiche, la volontà di voler accogliere anche le voci di dissenso, nelle pagine di questa nostra testata giornalistica on line, purché caratterizzate da finalità costruttive. Procediamo quindi alla pubblicazione degli articoli pervenuti, che estendiamo con piacere, ringraziando gli autori per l’attenzione e la cortesia che ci hanno riservato.
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A futura memoria
di Raffaele Aragona
Muro contro muro: il Direttore Regionale della Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici per Napoli Gregorio Angelini ha bocciato il progetto di riqualificazione del lungomare proposto dal Comune. No alla pedonalizzazione, no all’arredo urbano, no alla Villa comunale che si ricongiunge al mare e senza cancellata, no all’illuminazione dal basso. Sì alle automobili perché fanno arte dell’identità storica della città in quel luogo. A rischio 15 milioni di fondi che servono per rifare il lungomare. Scrivono dalle Sovrintendenze «la pedonalizzazione pressoché totale del lungomare appare in contraddizione con l’identità di un pezzo di città».
Questo il titolo del “Il Mattino” in prima pagina del secondo dorso a pochi giorni dalla bocciatura del progetto comunale di riqualificazione di via Partenope, e quindi l’incipit dell’articolo di Luigi Roano.
Non è ben chiaro come sia stato possibile non attenersi a quanto esplicitamente indicato dal Direttore Generale Angelini. Il “catenaccio” dice «E De Magistris va da Franceschini». Chissà cosa si saranno detti quei due perché siano state poi disattese le disposizioni di Angelini, perfettamente in linea con i vincoli esistenti sull’intero lungomare di Napoli. Franceschini già allora avrà tergiversato, così come ha fatto nel 2019 nel rispondere (?) all’interrogazione parlamentare dell’On. Le De Lorenzo: una risposta per nulla soddisfacente e inconcludente.
Chi scrive ha da sempre osteggiato l’idea della pedonalizzazione di via Partenope (e, in verità, anche di quella porzione di via Caracciolo che pare ormai divenuta definitivamente interdetta alle auto e destinata a eventi meglio definibili come sagre paesane. Un tratto, anche questo, di via Caracciolo, che interrompe malamente la continuità del nastro di collegamento.
Le pedonalizzazioni di zone della città hanno senso se effettuate nel loro interno, non nelle parti esterne, specie quando queste risultino arterie di collegamento, strade di scorrimento più o meno veloce, delle quali difficilmente può farsi a meno. Se n’è avuta prova nel settembre 2020 quando la chiusura della Galleria Vittoria ha costretto l’amministrazione a riaprire via Partenope alla circolazione delle auto. È avvilente notare come servano emergenze del genere perché certi errori vengano evidenziati; è quanto già accadde nel marzo 2013 con il crollo dell’ala sud-ovest di Palazzo Guevara di Bovino alla Riviera di Chiaia, un disastro che costrinse lo stesso de Magistris a riaprire l’intera via Caracciolo bloccata da qualche settimana alle auto in maniera sconsiderata; un’idea sciagurata che non teneva conto del conseguente dannoso ingorgo di traffico sulla Riviera di Chiaia, ignorando che lo smog, attenuato o addirittura annullato dalla brezza marina, invadeva strade interne.
Oggi, a parte il dibattito sempre aperto sulla pedonalizzazione di via Partenope, la discussione verte sul progetto di restyling della strada “ideato” e portato avanti dalla Giunta precedente e pure “accettato” da quella attuale, nonostante si possa e si debba sospettare che persone attente e capaci come Gaetano Manfredi e Edoardo Cosenza, in cuor loro, non possano considerarla una decisione felice. A “giustificare” l’intenzione di portare avanti il progetto sarà stato piuttosto il rispetto della famigerata “continuità amministrativa” e lo spauracchio di perdere i fondi a esso destinati, e forse anche voti e consensi di una parte di popolo in gran parte lontano da valutazioni urbanistiche, architettoniche ed estetiche. Non è certamente, però, una buona giustificazione, se l’opera deve realizzare qualcosa di errato, inutile e dannoso. Vadano pure persi questi fondi ‒ sempre che non si possano recuperare in qualche modo ‒ se il sacrificio può servire a salvare l’integrità di quello che viene costantemente indicato come un “monumento” facente parte della consolidata iconografia della città di Napoli.
La destinazione di quei fondi, tra l’altro, era quella della viabilità sostenibile, ma il “sostegno” è stato limitato a quella ciclo-pedonale! A chi addebitare tutto ciò?
Il progetto, elaborato dagli Uffici tecnici del Comune fin dal 2013, con un progetto esecutivo andato in gara nei mesi scorsi e con un iter ormai conclusosi, è stato per lungo tempo e inutilmente contestato dal mondo culturale – architetti, urbanisti, storici, ingegneri ‒ e da associazioni e comitati che da anni si battono per la tutela degli speciali caratteri di quella strada che di Napoli è parte della sua stessa identità e della sua memoria collettiva. Via Partenope è un settore dell’intero asse litoraneo, Caracciolo – Partenope – Nazario Sauro, riconosciuto universalmente come il lungomare tra i più belli del mondo e iper-vincolato (compiuto nel 1883 su progetto di Enrico Alvino e Gaetano Bruno, massimi esponenti dell’architettura e dell’ingegneria della fine del XIX secolo). Si è fin dall’inizio contestato che l’intervento di restyling del solo tratto di via Partenope modificherebbe solo una parte dell’intero asse interrompendo l’unicità del monumento.
Coloro che hanno a cuore il destino della città di Napoli hanno sempre ritenuto che qualsiasi restauro di quel monumento, per rispondere legittimamente al variare dei tempi, debba essere preceduto da piano urbanistico sull’assetto della rete stradale e delle vie di fuga e rappresentare il risultato di un concorso internazionale coinvolgente l’intero asse da Mergellina a via Acton, realizzato nella sua interezza e giudicato da una commissione di massimi esperti.
«C’è una cosa, però, che va sottolineata una volta per tutte: ‒ afferma opportunamente Giulio Pane ‒ Napoli e i napoletani non hanno mai cessato di frequentare le strade della propria litoranea, né quando fu realizzata né dopo; non sarà questo progetto a garantirne la frequentazione, ma sarà certamente questo progetto, così com’è, e se sarà realizzato senza gli opportuni correttivi formali, di gestione degli spazi e delle destinazioni d’uso, a garantire la trasformazione delle strade coinvolte in un suk dedicato alle “consumazioni”, alla pari di una qualunque periferia di Istanbul o di San Francisco».
Un bel risultato, per chi si preoccupava di confermare così l’identità (e l’unicità) di Napoli!
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