Comunità e simboli sessuali
COMUNITÀ/SOCIOLOGIA DEI SIMBOLI/SOCIOLOGIA SESSUALE
di Pasquale Martucci
Lo spunto per parlare del simbolismo sessuale, che paradossalmente risulta essere ancora molto attuale, mi è venuto dopo aver letto le polemiche successive alla “Festa degli Uomini”, che si è svolta, lo scorso 2 agosto 2022, a Monteprato di Nimis in Friuli.
Essa è stata intesa come una manifestazione sessista, una forma di oppressione, denigrazione, oggettificazione della donna. Concorrenti inginocchiate davanti agli uomini, dovevano mangiare velocemente delle banane, simulando un atto sessuale. Gli organizzatori dell’evento hanno parlano di un gioco innocente, che non offende nessuno; tantissime persone hanno invece gridato a: sessismo, sottomissione, affermazione del potere maschile.
La festa era un tempo differente rispetto a quella attuale: dall’invito alla sessualità e alla fecondità, la ritualità antica, anche goliardica ma con significativi riscontri in termini di coesione comunitaria, si è passati alle sfilate di modelle in abiti procaci, spogliarelliste, cibo e palloncini a forma di fallo; c’è poi la premiazione del Mister dell’anno; infine, ci sono donne che si contendono il titolo di Mangiatrici di banane. Questa evoluzione ha fatto conoscere il paese, ora frequentato da persone famose che giungono per partecipare alla festa.
Al di là delle rappresentazioni ed evocazioni rituali, occorre considerare ciò che in questi cinquant’anni è accaduto nell’evoluzione della vita sociale ed in quella delle donne, che ancora chiedono parità ed attenuazione delle distanze sessuali, intendendo il dominio e la società fallocentrica come occasione di consumo ed affermazione di una competizione sessista e di potere.
La festa nasce quando negli anni cinquanta in paese ci si accorge che il fenomeno migratorio ha del tutto spopolato la zona. Si racconta che gli uomini, intenti a bere nell’unica osteria di Monteprato, fossero stati apostrofati dall’ostessa: “Se dedicaste alle vostre donne lo stesso impegno che mostrate nel tracannare vino, il problema delle nascite sarebbe risolto!”. Pare che quella frase abbia fatto cambiare il corso degli eventi. Dopo qualche tempo, un’anziana donna trovò nel bosco uno strano ceppo a forma di membro maschile: fu portato in osteria per schernire la virilità degli uomini. Da allora si decise di festeggiare questo totem.
Nell’antico rituale, il fallo veniva posto sul bancone all’interno del locale, attorniato da candele accese; successivamente, i giovani in “processione” cominciarono a portarlo di paese in paese, entrando in ogni osteria fino poco prima dell’alba. Ritornati a Monteprato, il fallo sfilava per le vie dell’abitato, lungo un percorso tracciato da fiaccole accese ed accompagnato dal suono delle campane e da canti goliardici. In queste occasioni, qualcuno faceva atto di rispetto togliendosi il cappello ed inginocchiandosi. In seguito le strade sono state invase da gente che insegue un’enorme statua in legno (si parla di quattro metri di altezza), realizzata a mano, che rappresenta l’organo maschile. Le donne devono toccarla e baciarla come auspicio di fertilità.
La data del 2 agosto fu scelta per una leggenda bizzarra, risalente a Napoleone. I suoi soldati quelli delle ultime fila, avevano calzamaglie molto strette, e per una questione di uniforme tenevano i testicoli spostati alla sinistra della cucitura sull’inguine. Ed allora il detto: “les deux a gauche!” (due a sinistra). Da queste parti si parlò di “deux de août”, il due agosto. Da allora il due agosto in provincia di Udine è la festa del maschio, che in realtà si svolge come giornata dell’uomo dappertutto il 19 novembre, per celebrare l’uomo e i suoi genitali.
Ora, questo rituale antico era certamente collegato al simbolismo sessuale di un tempo: quello maschile. Ne esiste anche di femminile, di cui si dà poco conto. Tendenzialmente il simbolo maschile ha la forma della lancia di Marte, il dio della guerra, mentre quello femminile è lo specchio in bronzo della dea Venere, la forma del corpo femminile dato dalla rotondità. La forma allungata è intesa come penetrazione, affermazione di lotta per la vita; il vaso o la coppa, che allude al seno e all’utero, evoca i tesori nascosti, il luogo dove si conservano le manifestazioni del femminile. Si tratta di una polarizzazione, cha va sintetizzata, in quanto, per Jung, l’uomo incontra l’anima (angelo, fanciulla, ma anche prostituta), mentre la donna incontra l’animus (il toro, la lancia, la spada), in una commistione di opposti. Diceva Lacan, che si realizza la differenza tra essere e avere un fallo: gli uomini lo hanno, le donne si trovano ad essere-fallo, acquisirlo. Negli ultimi anni, ci si è occupati anche di simboli che hanno superato il maschile e il femminile, per identificare gay e lesbiche, le comunità LGBT in genere.
Ad ogni modo, la festa di Monteprato è tipicamente espressione di un simbolismo maschile, forse introdotto proprio da una donna, che parte dall’idea di una comunità che intende evocare la fecondità e dunque l’esaltazione del fallo. È il ritorno all’antico rito greco e romano, il simbolo inteso come immagine e oggetto portafortuna. La superstizione vedeva il pene come la bacchetta magica che allontanava ogni guaio, ma era anche il segno della fertilità che significava figli, in quanto produttore di liquido seminale che avrebbe favorito la procreazione, quindi la ricchezza.
Priapo è un dio greco della fertilità; dal suo nome deriverà anche il termine medico priapismo, un’incontrollabile erezione fallica. Originario forse del Mar Nero, si trasferì prima in Grecia e poi a Roma, dove assunse l’aspetto di un satiro, Faunus; si celebravano in suo onore le feste chiamate Lupercalia, legate alla fertilità. I giovani romani nudi, i Luperci, correvano verso il luogo in cui erano stati allattati dalla lupa e colpivano tutte le donne che incontravano lungo il loro percorso. Del resto Faunus è il caprone e i giovinetti sono sottoposti al rito di passaggio: dimostrare coraggio per acquisire lo status di adulti. Faunus è rappresentato come Priapo con un grosso fallo, simbolo cosmogonico del membro virile in erezione, un dono degli dei, cui venivano dedicati riti e preghiere, per secoli oggetto di potere, tabù, mistero.
Per i Greci ed i Romani, il fallo (dal latino phallus, dal greco phallós, da connettersi alla radice sanscrita phalati, germogliare, fruttificare, o alla radice della lingua protoindoeuropea phal, gonfiare, gonfiarsi), oppure il pene (latino penis, coda, che deriverebbe da pendere; poi membro virile, da pes, o sanscrito vedico pasas), era simbolo di potere. Tra i Romani, inoltre, il pene fungeva da portafortuna: il fascinum era un amuleto fallico contro il malocchio da appendere al polso. Di qui il gesto scaramantico di “toccarsi” i genitali (o di toccare il corno, a forma fallica) per attingere energia. Dal fallo, derivano le rappresentazioni dei cornetti delle superstizioni mediterranee.
I culti fallici sono sopravvissuti fino ad oggi, anche se mimetizzati sotto altre forme, come la Sagra dei Gigli a Nola, la Corsa dei Ceri a Gubbio e durante il Carnevale a Firenze.
Questo simbolo è usato per provocazioni e scherzi, come pare essere inteso nel caso di Monteprano, a dimostrazione che questa simbologia resiste e fa parte dell’immaginario collettivo; anche se le celebrazioni attuali mostrano ben poca attenzione alla simbologia e tanta alla attività ludica e goliardica di una società fallocentrica.