CROMOFILIA PROCIDANA

CROMOFILIA PROCIDANA

di Franco Lista*

La città in continua espansione, le conurbazioni che saldano senza soluzione di continuità i centri abitati, l’edilizia abusiva, il territorio agricolo compromesso e avvelenato, sono tutti luoghi attraversati da conflitti sociali che lasciano tracce visibili e spesso irreversibili.

Cambiano finanche le connotazioni cromatiche del paesaggio e delle cittĂ  che, un tempo erano elementi di estetica distinzione.

In proposito, vale la pena di riproporre una bella e suggestiva considerazione di Gillo Dorfles con la quale il grande critico considerava il colore delle cittĂ , vedendo in esso una sorta di timbro cromatico prevalente che permea e caratterizza la scena urbana.

“Sappiamo, che certe città sono gialle, azzurre, rosse: chi non ha notato il colore rosso-ferrigno di Bologna, il colore grigio-ardesia di Genova, il colore giallo-travertino di Roma? Anche Parigi, Londra, Monaco hanno tutte un loro particolare colore.”

Connotate non solo nei vari colori dei materiali costruttivi (mattoni, pietre ardesia, travertino, intonaci), ma anche nel rapporto cromatico che questi materiali hanno con i colori della natura (cielo, verde, mare, montagne), alcune cittĂ  hanno acquisite, e mostrano ancora, specie nelle loro parti storiche, una espressiva vivacitĂ  agli occhi e alla sensibilitĂ  di chi le osserva e di chi le vive.

La riflessione di Dorfles, scritta molti anni fa, largamente anticipatrice del desiderio di ricomporre e tutelare i cromatismi delle città, oggi è diventata cosa di attualità. Molte amministrazioni avviano studi e ricerche per i nuclei abitativi d’interesse storico, artistico, ambientale, dotandosi di un opportuno piano del colore.

Riaffiora il bisogno, represso fino a poco tempo fa da considerazioni di natura sociale, economica e strumentale, di far riacquistare ai nostri abitati la perduta originaria ricchezza cromatica. Per questo, il colore ridiventa valore di comunicazione sociale, di sensibilità, fresca e immediata, dell’opera umana.

Senza dubbio è un segnale interessante, tra i tanti inquietanti segnali che provengono dallo scenario di abbandono e di degrado di molti centri storici, piccoli e grandi che siano.

Nei piccoli abitati costieri e delle isole, com’è il caso di Procida, il colore non costituisce un pregio puntiforme, ma dà luogo a un cromatismo corale di valore ambientale e, allo stesso tempo, funzionale in considerazione delle particolari caratteristiche climatiche. Il largo uso di tinte di toni chiari certamente ha un’azione riflettente nei confronti dei raggi solari, mentre il colore bianco derivato dal latte di calce, era prevalentemente e stagionalmente impiegato sui plastici estradossi delle volte a gaveta per ragioni igieniche legate all’approvvigionamento delle acque pluviali.

Sicché, il contrasto con gli azzurri del cielo e del mare formava quella nota di originalità che, ad esempio, alla Corricella di Procida o all’isola di Santorini in Grecia è diventata simbolo e attrazione turistica.

L’osservatore sensibile, il fotografo, il pittore paesaggista, da queste policromie, traggono sensazioni complesse che vanno oltre il semplice dato cromatico.

La complessità attiene al connubio tra tinte delle tipiche costruzioni, colori della natura e la particolare luce esaltata dall’azione specchiante della superficie del mare. I pittori per questo parlano di “fusione cromatica” che è rapporto generativo d’intonazioni e intrecci di tinte, laddove contrasti e definizioni cromatiche si fondono e si stemperano nella cosiddetta prospettiva atmosferica, quella teorizzata e realizzata nei dipinti da Leonardo da Vinci.

D’altra parte, occorre mettere in rilievo come i processi organici di mutamento nel tempo dei colori sollecitino ulteriori riflessioni. Sono i fattori atmosferici e ambientali quali l’intensità della luce solare, il dilavamento delle piogge, l’umidità, le variazioni termiche a produrre quello straordinario cangiamento dei colori originari che assumono spessissimo un vero valore pittorico.

Ecco il colore cambiare nel tempo: una sorta di vita delle tinteggiature che da semplici campiture, da pure stesure cromatiche, diventano vere e proprie espressioni di pittura materica e informale, anche queste spontanee come l’architettura dell’isola. Superfici grumose che lasciano intravedere sovrapposizioni e concrezioni di tinte e materiali diversi, stratificati nel tempo, di sorprendente sensibilità materica, quasi opere informali di artisti contemporanei.

Le macchie, le tracce e le imbrattature dei muri, nella loro instabilità formale, nella loro casuale bellezza, proprio come sosteneva Leonardo, sono fonte creativa, stimolano l’immaginazione, costituiscono materiale interessante allo sguardo dell’artista.

Attenzione dunque a questa particolare, ulteriore risonanza del colore. Un valore che mostra infinite matericità cromatiche, ora tangibilmente compatte, ora sgranate nella loro stratificazione, ora dilavate al punto da variare con sottile e casuale finezza il tono del colore. Un valore squisitamente cromatico che va tutelato, reintroducendo le antiche tecniche di tinteggiatura, e non annullato col pessimo ricorso utilitaristico a colori industriali che tendono a essere immutabili ed eterni; a dare l’effetto, come sostiene Manlio Brusatin, del “nuovo a tutti i costi” come quello di un oggetto appena prodotto dalla fabbrica.

Una simile angolazione di lettura, nell’aumentare il campo d’indagine, ora più proteso verso una complessità cromatica che è la stessa dell’immagine paesaggistica di Procida, dovrebbe essere presa in seria considerazione; non può essere mal interpretata o, ancor peggio, letta come semplice suggestione di malintesa e vaga ascendenza ruskiniana. Rientra piuttosto nella trattatistica di Gilles Clément sull’arte involontaria.

Queste sintetiche riflessioni dovrebbero essere assunte a criteri e principi generali per qualsiasi iniziativa d’intervento, di ripristino e restauro delle facciate architettoniche. Penso che qualsivoglia “piano del colore” che aspiri a essere fattibile, principiando dal riconoscimento della comunità sociale a cui è finalizzato, deve trovare nella prassi la necessaria condizione di reciprocità tra “comunità sociale” e “comunità cromatica”.

La storica, cosiddetta “unità di vicinato” deve poter diventare “unità cromatica di vicinato”, nell’accostamento e nel misurato contrasto del colore delle abitazioni. Consideriamo anche la funzione affettiva del colore, ecco la riconoscibilità, proprio attraverso il colore, della propria abitazione agli occhi del pescatore che rientra dal mare o al marittimo che ritorna dopo un lungo tempo di navigazione.

Certamente, va detto che il “piano del colore”, imperniato soprattutto sul recupero della tavolozza procidana, deve far propri tutti i sistematici apporti conoscitivi valutandoli con procedimenti di tipo analitico e di carattere tecnico. Resta pur sempre la necessità di una valutazione olistica, affidata all’occhio sensibile che sappia orientare e declinare la norma in ragione della richiamata complessità.

Il naturale suggerimento, che vuol essere uno stimolo ad agire in proposito, è quello di costituire per la nostra isola una “commissione del colore” nella quale vi sia almeno qualche “portatore sano” di cromofilia procidana.

 Segnalazioni stradali a Procida – 24.06.2021 – foto Maurizio Vitiello

 Procida, Lungo la Via Giovanni da Procida0 – 4.06.2021 – foto Maurizio Vitiello

Procida al porto – 09.09.2020 – foto Maurizio Vitiello

 Palazzo Merlato, Casa Catena-Cappella Madonna Capone, sec. XVII – 09.09.2020 – foto Maurizio Vitiello

Porticciuolo della Chiajolella – 09.09.2020 – foto Maurizio Vitiello

Franco Lista*

Architetto, artista, già Ispettore per l’Istruzione Artistica del MPI, già membro del Consiglio Nazionale del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, docente a contratto dell’UNISOB e ricercatore e cultore della materia dell’UNINA.

adminlesociologie

adminlesociologie

Lascia un commento

Questo sito utilizza i cookie e richiede i tuoi dati personali per migliorare la tua esperienza di navigazione.