Sociologi
Franco Ferrarotti. Un compleanno importante
di Sergio Mantile
Il 7 aprile 2022 Franco Ferrarotti, decano della Sociologia italiana e protagonista di quella internazionale, Presidente onorario dell’ANS, compie 96 anni. Vissuti sino ad oggi con la lucidità e la profondità di analisi che hanno sempre contraddistinto il suo lavoro di testimone straordinario di un secolo terribile.
Il secolo che, dopo la Seconda guerra mondiale, ha prodotto una serie interminabile di guerre più o meno locali, di rivoluzioni, di colpi di stato, di passaggi epocali dalla dittatura alla democrazia e viceversa, di ribellismo giovanile e razziale, di sviluppi tecnologici e comunicazionali.
L’approccio umano e professionale di Ferrarotti ai problemi del mondo è per più ragioni anomalo, oltre che estremamente originale. Lui è uno dei pochi in Italia, e forse il primo, che, a partire dagli ultimi anni di guerra, re-immagina la sociologia – spenta e seppellita per vent’anni dall’idealismo crociano e dal fascismo – e poi, nell’immediato dopoguerra, va a ricercarne le nuove fonti in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove invece essa aveva continuato a prosperare e a fruttificare. E, ancora, comincia giovanissimo a tradurre The theory of leisure class di Weblen, interloquendo in merito con l’amico Cesare Pavese. Intellettuale non provinciale fin dagli esordi, quindi, pur provenendo da un Paese che la dittatura aveva sprofondato nel provincialismo culturale, ed essendo egli stesso nativo della provincia piemontese. Poliglotta, profondamente erudito e con la passione intima per lo studio; eppure non chiuso nella sapienza puramente libresca, ma anzi volto alla conoscenza empirica dei problemi, come le sue ricerche sul campo (per es. l’indagine sottostante al saggio Roma da Capitale a periferia) e le ricerche con l’uso del metodo biografico dimostrano. Fu coinvolto nell’utopia politico-sociale di Adriano Olivetti – e perciò deputato dal 1959 al 1963 per il Movimento Comunità – ma senza riuscire ad innamorarsi della politica parlamentare, che lascerà volentieri per tornare definitivamente all’insegnamento universitario. Docente della prima Cattedra di Sociologia in Italia, ma mai barone accademico, né affarista attraverso la sua disciplina (come invece è stato qualche suo collega che, lontanissimo dalla sua ricchezza teorica e dalla sua competenza scientifica, ha dimostrato ampia versatilità liquida nell’uso auto promozionale dei media, nella ricerca di tutele politico-accademiche e politiche tout court, e nel perseguimento di successi finanziari). Franco Ferrarotti è “troppo” (come disse una volta uno studioso di J. P. Sartre) per poterne trattare facilmente, soprattutto senza una adeguata competenza della sua vasta opera. Però, mi è agevole e gradito ricordare il mito intellettuale che ha rappresentato per me fin dall’iscrizione a Sociologia alla Sapienza di Roma. Di lui mi parlò per la prima volta l’amico romano con cui ero andato in Vespa ad immatricolarmi all’università, meravigliandosi del fatto che non lo avessi neanche sentito nominare. Mi disse che aveva studiato all’estero, che era consulente dei ministeri, che appariva spesso in televisione (allora, con due soli canali, era una cosa piuttosto difficile). Dato che avevo scelto sociologia per passione e con immaginazione affettiva, come un antico esploratore sceglieva una barchetta instabile per avventurarsi nell’oceano, la solidità di una guida così autorevole mi rassicurò non poco, facendone ai miei occhi immaturi una sorta di eroe. Peraltro, l’ammirazione giovanile si trasferì velocemente dalla fantasia alla concretezza del suo Trattato, che fu il primo libro del primo esame, Sociologia generale, che diedi. Ricordo ancora a memoria l’incipit: “Vi è una sociologia perenne. È la sociologia del senso comune”. Devo dire che, a distanza di decenni, non l’ho mai trovato “superato” e, anzi, mi è capitato, leggendo altri trattati italiani, di trovarvi ogni tanto dei passaggi che sembravano “orecchiare” quello di Ferrarotti. Anni dopo, impegnato con un gruppo di colleghi in una ricerca nei Campi Flegrei, stavo approfondendo lo studio del metodo biografico, proprio con il libro “Storia e storie di vita” (un piccolo libro, estremamente intelligente, che allora costava poche migliaia di lire e che oggi, non disponibile editorialmente, ho trovato in vendita sul web a 70 euro!) quando un sociologo, che allora collaborava con il Censis, mi disse che doveva andare ad intervistare Ferrarotti e, generosamente, conoscendo la mia ammirazione per lo studioso, mi offrì di farsi accompagnare da me. Mi viene da ridere, in parte con tenerezza, di quel pellegrinaggio a Roma, per incontrare il maestro nella villa liberty ai Parioli dove abitava. Venne lui ad aprirci la porta, con la semplicità di un uomo vero, che non ha mai perso la sostanzialità della cultura contadina di origine, e sistemò personalmente i nostri cappotti in un armadio a muro, che stava nell’ingresso. Io guardavo religiosamente ogni dettaglio di quella casa, così mi ricordo che, a metà di una piccola scala semicircolare, davanti ad un’alta finestra, era sistemato un divanetto tipo triclinio romano, dove io immaginai che lui si stendesse a leggere. Seguì la bella intervista tra i suoi libri, alle cui domande lui rispondeva con la spontaneità e con il piacere della discussione di sempre, come lo avevo visto fare in televisione o all’università, ogni tanto concedendosi brevi digressioni. In una di quelle, ci raccontò delle persone inopportune che, con la scusa di salutarlo o di fargli i complimenti per l’ultimo libro, infilavano all’improvviso nel discorso la raccomandazione per il nipote. Lui li fuggiva in tutti i modi quei personaggi, ed io e il mio collega ridemmo come piccoli ladri in cuor nostro, perché avevamo portato con noi una nostra recente pubblicazione da mostrargli. Quando il collega gliela porse, Ferrarotti ringraziò schernendosi e cominciando una di quelle fughe delle quali ci aveva appena detto. Ma quando io, nel mentre già ci alzavamo, gli posi una domanda sul metodo biografico, la passione dello studioso prese il sopravvento, e lui restò ancora per qualche altro minuto a parlarne. Ci accennò anche alla possibilità di uno sviluppo tecnico-metodologico, con l’utilizzo di diversi magnetofoni (non c’erano ancora i voice recorder), che, ci sembrò di capire, sarebbe stato poi l’oggetto di una prossima pubblicazione. Ho continuato a leggere con piacere i suoi libri, come le sue interviste, per almeno due buone ragioni. La prima consiste nel fatto che le sue affermazioni hanno radici profonde nella storia, nella filosofia e nella cultura in generale. Questo, purtroppo, è sempre meno vero in ambito scientifico sociale, nel migliore dei casi per un eccesso di specializzazione dello studioso; nel peggiore dei casi, invece, per pura e semplice superficialità e sciatteria professionale. La seconda ragione è dovuta alla sua reale indipendenza di giudizio, quella che un tempo uno scienziato si sforzava di realizzare nel suo lavoro, lontano da sponsor istituzionali e privati, e persino, non di rado, dalla stessa idea di potersi arricchire.
Bio-bibliografia di un maestro della Sociologia italiana
di Mariarosaria Monti e Maria Valeria Smitti
“L'equazione personale tocca e può influenzare il processo vivo della ricerca e le sue risultanze.
Il fatto è che, quando il sociologo studia la società, egli studia in realtà se stesso perché è parte della società.”[1]
Franco Ferrarotti.
Da sociologi siamo consapevoli che non si può raccontare una biografia senza prendere in considerazione il contesto sociale.
D’altronde come Franco Ferrarotti ci insegna se “non c’è società senza individui” è altrettanto vero che “non ci possono essere individui senza una società.” [2]
Il vero fondatore della sociologia in Italia, Franco Ferrarotti, nasce il 7 aprile 1926 a Palazzolo Vercellese[3], nell’immediato post guerra in cui l’economia italiana subisce una svolta deflazionistica dovuta alla stabilizzazione della lira a «quota novanta».
In un’intervista ad Antonio Gnoli rivelerà: “Quando nacqui mi diedero per spacciato. La mia salute era fragilissima, la mamma malata non poteva allattarmi. Fui spedito a sei mesi a Robella dai bisnonni che mi sfamarono con il latte di vacca. Ero troppo debole e per le dure leggi del mondo contadino venivo considerato uno scarto. Un peso da cui liberarsi. Ho cominciato a parlare a cinque anni. Pensavano fossi un ritardato mentale. Paradossalmente fu un vantaggio, perché il silenzio sviluppò in me le capacità di osservazione, che arricchii leggendo. Alla biblioteca comunale passavo le giornate. Mio padre cominciò a odiarmi. Diceva con disprezzo: diventerai un uomo di carta. Non ha avuto tutti i torti. L’ho anche scritto: sono nato in mezzo ai libri. Morirò baciando la loro polvere. Aveva ragione mio padre: sono un uomo di carta.” [4]
Nonostante le ristrettezze, Ferrarotti studierà inizialmente in un istituto religioso e poi a San Remo dove si rivelerà un brillante e curioso studente e conseguirà la licenza ginnasiale nel 1940 e poi quella liceale, da privatista.
Durante la seconda guerra mondiale, grazie ai suoi studi linguistici, riuscirà a riportare notizie, ordini e armi partecipando anche ad alcune azioni partigiane e alla fine del conflitto, avendo imparato perfettamente l’inglese, otterrà un passaporto e lavorerà come traduttore per la casa editrice Einaudi. Qui incontrerà intellettuali come Cesare Pavese, col quale stringerà una profonda amicizia definendolo successivamente come un fratello maggiore, la scrittrice Natalia Ginsburg, Paolo Serini e lo scrittore Italo Calvino.
Di Pavese ricorda: “Ebbi la fortuna di incontrarlo, nel 1943 durante la Resistenza, a Casale Monferrato dove si era nascosto. Era un uomo molto timido. Io estroverso lui introverso. Tra noi funzionò la legge degli opposti che si attraggono. Una sera recitammo in tedesco il finale del Faust mentre passava una colonna nemica. Poi ci perdemmo di vista e solo alla fine della guerra, nel 1947, ci rivedemmo. Lavorava alla Einaudi mi chiamò proponendomi di tradurre La teoria della classe agiata. Era scritto in un inglese molto complicato – Thorstein Veblen, l' autore, era un norvegese trapiantato in America – che aveva fatto desistere sia Vittorio Foa che Antonio Giolitti. Fu un bel biglietto da visita che mi servì, tra l' altro, nei rapporti che in seguito stabilii con Adriano Olivetti”[5]
Il testo di Veblen gli risulterà utile quando nel 1948 farà la conoscenza di Adriano Olivetti che, apprezzando la sua sfrontatezza nell’esporgli le sue idee, gli propone successivamente di lavorare per lui. A partire dal 1948 fino alla scomparsa di Adriano Olivetti, nel febbraio del 1960, diviene uno dei suoi piú stretti collaboratori, in un incontro nello stesso tempo politico, ideologico, spirituale e ideale, avvenuto sulla “strada dell’utopia”.
L’utopia era legata a una grande sfida progettuale: industrializzare Ivrea senza distruggere l’ambiente; sviluppare il Canavese senza stravolgerne l’anima contadina. Una sfida locale che incontrava tuttavia i grandi scenari globali: lo sviluppo della democrazia industriale in Europa, la politica delle grandi fondazioni americane; la crescita della cultura delle scienze sociali come strumento di innovazione nella società e nell’impresa.[6]
Si appassiona alla sociologia di Thorstein Veblen a tal punto da laurearsi nel 1949 con una tesi su “La Sociologia di Thorstein Veblen” che discuterà con il filosofo Nicola Abbagnano.
“Lo stesso anno su Veblen feci la mia tesi di laurea a Torino. E Augusto Guzzo, crociano, si rifiutò di firmarla. Fu solo grazie a Nicola Abbagnano che potei laurearmi».
Infatti ne “Il Corriere della Sera” del 15 gennaio 1949, Benedetto Croce accusa la sociologia di non essere una scienza pura, astratta, come la filosofia, ma un’inferma scienza in quanto pregiudicata dal suo legame con il mondo empirico.
Ferrarotti risponde a sua volta subito con due saggi nella “Rivista di Filosofia” dal titolo rispettivamente di La sociologia di Thorstein Veblen e Un critico americano di Marx in cui difende la disciplina.
Nel novembre 1949 inizia la sua attività politica: è tra i fondatori del Consiglio dei Comuni d’Europa a Ginevra, con Jacques Chaban-Delmas, Jean Bareth, Madame A. de Jager.
Nel 1951 fonda e diviene direttore della rivista “Quaderni di Sociologia” con Nicola Abbagnano che ne diviene vice-direttore.
Nella rivista pubblicheranno autori italiani e stranieri, tra i quali anche vari docenti americani, e avrà un tratto più critico che accademico, in cui si darà spazio sia a tematiche teoriche che a resoconti di ricerche sul campo.
A seguito di questa esperienza nel 1967 fonderà la rivista di cui è ancora direttore, “La Critica Sociologica”.
Con Geno Pampaloni e Renzo Zorzi fu tra i collaboratori di Adriano Olivetti dal 1948 per circa dodici anni ma l’Italia iniziava a stargli stretta.
“Poi accadde che Olivetti ebbe un infarto. Andai a trovarlo in clinica e gli dissi che il mio progetto era di trasferirmi per un periodo negli Stati Uniti. Mi guardò con stupore e rammarico. Dal letto si sollevò lentamente e con una smorfia mi rispose che non se ne parlava punto. Gli dissi che quell’esperienza la facevo anche per lui e alla fine, un po’ a malincuore, si convinse. E così partii. Feci la traversata in nave nel settembre del 1951. Giunto a New York mi trasferii all’Università di Chicago. […] Rimisi piede in Italia nel 1953. Mi rituffai nella comunità di Ivrea. Poi nel 1958 Olivetti fu messo da parte nell’azienda. Lo estromisero dalla carica di amministratore. La lunga contesa con la famiglia finì con la sua sconfitta.”[7]
Negli USA Ferrarotti si interesserà ancora della realtà sociale della fabbrica, che alla Olivetti aveva sperimentato da vicino, e dei problemi relativi al potere. In quegli anni, studia, si sposa e, diventato docente a Chicago e ad Harward, potrà confrontarsi con Herbert Blumer, fautore dei case studies, Robert K. Merton, Herman Pritchard, Leo Strauss, Ernest W. Bergess , Louis Wirth e Edward Shils, l'autore di The Present State of American Sociology. sarà anch'egli uno degli autori pubblicati dai «Quaderni di Sociologia» (v. il suo articolo su Lo stato attuale della sociologia americana, nn. 4-8, 1952). A lui Ferrarotti farà più volte riferimento nel suo volume Sindacato industria e società (UTET, Torino 1967). Shils sarà inoltre presente e prenderà la parola a un convegno tenuto in suo onore nel 1988 a Roma per ricordare il lungo periodo trascorso da quando Ferrarotti aveva vinto la prima cattedra di sociologia messa a concorso in Italia. Impegnato nella politica e di problemi aziendali nel 1954 scriverà Il dilemma dei sindacati americani (Edizioni di Comunità, Milano) e partecipa alla campagna elettorale di Stevenson, un'esperienza su cui tornerà molti anni dopo, narrandola nel testo Pane e lavoro! (Guerini, Milano 1994).
Tornato a Roma diventerà deputato del Movimento Comunità, di cui, dopo la rinuncia di Adriano Olivetti, resta unico deputato come indipendente nel Gruppo Misto, fa parte della Camera dei Deputati nella Terza legislatura della Repubblica Italiana (1958-1963).
Afferma: “La politica mi piaceva troppo, finiva per mangiarmi la vita. Il piacere di una vittoria politica è più forte di un orgasmo”.
Dal 1957 al 1962 è anche direttore della Divisione dei fattori sociali nell'O.E.C.E. (ora O.C.S.E.) a Parigi.
In quegli anni lavora soprattutto su tematiche economiche sul Mercato Comune europeo, in particolare su tematiche sindacali. In politica ottiene risultati concreti in particolar modo riuscirà a far bandire all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” un concorso di sociologia che egli stesso vincerà nel 1960 decidendo di dedicarsi in piena autonomia all'insegnamento e alla ricerca. La morte di Adriano Olivetti pone fine al suo progetto politico-sociale, non ripresentandosi alla scadenza del mandato e dedicandosi totalmente all’insegnamento comprendendo che la politica implica compromessi.
Rifiutò varie offerte di insegnamenti di Filosofia per interessarsi esclusivamente alla sociologia cercando di fondare una sociologia critica, basata su concetti operativi, in grado cioè di orientare la ricerca.
All’approccio empirico e della survey tipico dell’impostazione americana, field-work, Ferrarotti decide di affiancare quello teorico/filosofico tipico dell'impostazione europea in modo da impostare in termini nuovi la sociologia che le dittature avevano soppresso nelle università italiane e tedesche. Sulla base della prima cattedra, richiesta ed ottenuta dalla facoltà di magistero dell'Università di Roma “La Sapienza”, costituisce l'Istituto di Sociologia mono cattedra.
Grazie a lui nasce il Corso di Laurea in Sociologia e nel 1967 fonda e attualmente dirige “La Critica Sociologica” una rivista personale che non fa capo a una casa editrice e che dà spazio sia a noti studiosi delle scienze sociali che ai più giovani, mostrandosi aperta anche al dialogo interculturale con attenzione alla politica, ai problemi sociali e al confronto interdisciplinare.
Ferrarotti insegna una sociologia critica, più vicina alla realtà sociale, che comprende la necessità di riforme strutturali in particolare un alleggerimento della burocrazia e che si discosti dall’influenza del retaggio cattolico.
Comprende inoltre che la survey come unico strumento di ricerca e di analisi non è esaustiva: nel 1974, in un corso di sociologia avanzata alla Boston University, valuterà l’apporto che l'impostazione qualitativa potrebbe dare alla sociologia.
Intorno agli anni ’80, l’impostazione qualitativa prende un grande spazio nel pensiero di Ferrarotti, un approccio di ricerca complesso che richiede la piena attenzione del ricercatore che deve attuare una sospensione del giudizio circa il racconto e vedersi come un contributo a una conoscenza che diviene partecipata, una conoscenza che diviene, appunto, con-ricerca.
Ferrarotti non si può definire un semplice accademico ma ha svolto un'attività a tutto campo:
Tra il 1953 e il 1963, è contemporaneamente organizzatore industriale, diplomatico internazionale, professore universitario e deputato. E i suoi viaggi non si arrestano: Europa, America Latina, India, Russia, Giappone, Thailandia e Birmania.
In India, in particolare, partecipa alla costituzione della prima fabbrica di telescriventi. [8]
Tiene corsi e seminari presso università di tutto il mondo: dal Graduate Center della City University of New York all'Università Laval a quella del Cairo, dalla Hebrew University di Gerusalemme alla Sorbona, all'università di Mosca, Leningrado e Santiago del Cile.
Nel 1978 a Parigi dirige la “Maison des Sciences de l'Homme” e l' ”Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales”.
Dirige per la casa editrice UTET un'importante collana dedicata ai classici della sociologia e apre anche una collana di sociologia presso la casa editrice Liguori di Napoli, dove fa pubblicare autori italiani e stranieri.
Ha presieduto per anni (fino al pensionamento) il Dottorato in Teoria e Ricerca Sociale.
Attualmente è Professore emerito di sociologia nell'Università di Roma “La Sapienza” e direttore della rivista “La Critica sociologica”.
Nel 2005 è stato nominato Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana dal presidente Carlo Azeglio Ciampi,
ed insignito del Premio per la carriera dall'Accademia Nazionale dei Lincei il 20 giugno 2001.
Medaglia d'oro al merito della Cultura.
E' membro della New York Academy of Sciences, del Comitato Scientifico di International Journal of Politics, Culture anda Society (New York), Historia y Fuente Oral (Barcellona), Social Praxis (Toronto), Praxis International (Philadelphia), Società dell'Informazione (L'Aquila), Lo Spettacolo (Roma).
E’ socio Onorario Direttivo ANS del 26/4/2016.
Nonostante la sua carriera Ferrarotti non ama essere identificato con la disciplina, si definisce un solitario, un outsider:
a chi lo definisce decano della sociologia risponde: “Non poteva farmi un insulto peggiore. La sociologia è morta. Forse non è mai nata. O è nata morta. Una scienza ibrida e dissociata”. Ma la critica è rivolta non tanto alla disciplina bensì al mondo universitario, tant’è che non ha mai smesso di svolgere una intensa attività di ricerca e scrivere opere sociologiche su temi di grande impatto sociale e di attualità per cui siamo profondamente grati.
TRA LE OPERE di FRANCO FERRAROTTI
Sindacalismo autonomo, Edizioni di Comunità, 1950
Il dilemma dei sindacati americani, Comunità, Milano, 1954
La protesta operaia, Comunità, Milano, 1955
Il rapporto sociale nell’impresa moderna, Armando, Roma, 1961
La sociologia come partecipazione, Taylor, Torino, 1961
Max Weber e il destino della ragione, Laterza, Bari, 1964
La sociologia, 1967
Trattato di sociologia, UTET, Torino, 1968
Roma da capitale a periferia, 1970
Fascismo e ritorno, 1973
Vite di baraccati, Liguori, Napoli, 1975
Alle radici della violenza, Rizzoli, Milano, 1979
La società come problema e come progetto, Mondadori, Milano, 1980
Storia e storie di vita, 1981
Il paradosso del sacro, Laterza, Roma-Bari, 1983
Una teologia per atei, 1983
Homo sentiens, Liguori, Napoli, 1985
Il ricordo e la temporalità, Laterza, Roma-Bari, 1987
La sociologia alla riscoperta della qualità, 1989
Roma madre matrigna, 1991
I grattacieli non hanno foglie, 1991
(con Pietro Crespi), La parola operaia, Scuola G.Reiss Romoli, L’Aquila, 1994
L’Italia in bilico – elettronica e borbonica, Laterza, Roma-Bari, 1994
Simone Weil: la pellegrina dell’Assoluto, Messaggero, Padova, 1996
La perfezione del nulla, 1997
L’Italia tra storia e memoria, 1997
Leggere, leggersi, 1998
Partire, tornare, 1999
La verità ? È altrove, 1999
L’ultima lezione: critica della sociologia contemporanea, Laterza, 1999
L’enigma di Alessandro, Donzelli, 2000
La società e l’utopia, 2001
La convivenza delle culture, 2003
L’arte nella società 2005 Ed. Solfanelli
L’identità dialogica 2007 Ed. ETS
Il senso della sociologia 2008
Il senso del luogo, Ed. Armando Armando, 2009
Spazio e convivenza – Come nasce l’emarginazione urbana, Ed. Armando Armando, 2009
Arte, Scienza, Società, Ed. Verso l’Arte, 2009
L’immaginario collettivo americano, Ed. Solfanelli, Chieti, 2010
Corpo, Dio – Il piacere della carne e la duplicità del femminile, Ed. Verso l’Arte, 2010
La funzione della musica nella società tecnicamente progredita, Ed. Verso l’Arte, 2010
La musica post-moderna ha un cuore antico, Ed. Verso l’Arte, 2010
La strage degli innocenti. Note sul genocidio di una generazione, 2011 Ed. Armando
L'empatia creatrice. Potere, autorità e formazione umana, Roma, Armando, 2011.
Il paradosso italiano. La povertà di un paese ricco, Chieti, Solfanelli, 2012.
Atman. Il respiro del bosco, Roma, Empirìa, 2012.
L'anno della Quota Novanta, Roma, Empirìa, 2012.
Un popolo di frenetici informatissimi idioti, Chieti, Solfanelli, 2012.
La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell'epoca della crisi, Chieti, Solfanelli, 2013.
Essays on Culture, Politics and Power, Valona (ALB), Academicus, 2014. ISBN 978-9928-4221-1-8.
Scienza e coscienza. Verità personali e pratiche pubbliche, Roma, EDB, 2014.
Roma Caput Mundi, Roma, Gangemi, 2015.
I miei anni con Adriano Olivetti a Ivrea e dintorni, da New York a Matsuyama, Chieti, Solfanelli, 2016.
Social Theory for Old and New Modernities. Essays on Society and Culture, 1976-2005, Lanham (MD)-New York-London, Lexington Books, 2012.
Dialogare o perire, Milano, Edizioni di Comunità, 2017.
Dalla società irretita al nuovo umanesimo, Roma, Armando, 2020.
SAGGI E ARTICOLI
“Lusso, moda, consumo onorifico”, in Agalma No. 2, gennaio 2002: 15-20.
TRADUZIONI
Thorstein Veblen, La teoria della classe agiata, Collana Saggi, Torino, Einaudi, 1949.
Theodor Reik, Il rito religioso, Torino, Einaudi, 1949.
BIBLIOGRAFIA:
[1] Fonte: https://it.wikiquote.org/wiki/Franco_Ferrarotti#cite_note-3
[2] Ferrarotti, 2003, XVIII
[3] https://www.francoferrarotti.com/archivio/biografia.htm
[4] https://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4fc58c531a6ec
[5] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/01/27/franco-ferrarotti.html
[6] https://www.sociologifamosi.it/franco-ferrarotti/
[7] http://materialismostorico.blogspot.com/2013/01/franco-ferrarotti-e-la-sociologia.html
[8] https://www.perlungavita.it/gli-autori-degli-articoli/365-franco-ferrarotti
Importante per la rivista “Le Sociologie” parlare di Franco Ferrarotti che, seguendo una metodologia qualitativa con il ricercatore soggetto attivo nella relazione che pone in essere, si è sempre occupato di rapporti umani, di una società che vive in continua interrelazione. Nelle mie ricerche ho sempre tenuto conto dei suoi insegnamenti, che mi sono stati trasmessi la prima volta alla fine degli anni novanta nell’ambito del Perfezionamento in “Metodologia della Ricerca Sociale Qualitativa”. Solo per ricordare che, tra il 2019 e il 2020, l’Editrice Marietti ha pubblicato in 4 volumi le sue opere: teoria e ricerche. Ringrazio per lo spazio dedicato ad un maestro.