Il NUOVO, CON IL SEGNO MENO

                                 Il NUOVO, CON IL SEGNO MENO

                                            Di Luciano Scateni

Millantare: verbo coniugato a iosa da critici d’arte improvvisati, che per esibire competenza sono costretti a rifugiarsi nella comoda rilettura della pittura classica, agevolati dall’ampia letteratura esistente e azzardano a fatica incursioni nell’impressionismo, nell’astrattismo, che consente di dire senza dire, ma condito con gergo criptico e arzigogoli funambolici. Ne fa le spese la maggior parte delle cosiddette installazioni, una per tutte la “Banana matura fissata inchiodata al muro”, esposta in un importante Museo, ‘opera’ di Maurizio Cattelan, poi addentata polemicamente da uno studente. La stroncatura meriterebbe il contraddittorio di un autorevole collegio di difesa, idea bipartisan da estendere al tema “musica rap”, che nel suo straripante affermarsi include buone intenzioni di racconto sociale in versi più o meno baciati e prevalenti sottospecie della musica leggera. Indotto dal mercato discografico, dall’imperativo categorico di andar dietro alla domanda di rock duro e di canto ritmato di giovani e giovanissimi, la musica leggera si modifica in affrettata sequenza di parole dette-cantate con lo scarno supporto di note e accordi. Emanuele Palumbo, in arte Geolier, è protagonista a Sanremo di un impatto choccante e cancella lo storico divieto del festival di cantare in dialetto: il rapper napoletano racconta di un lui e una lei, di una coppia che scoppia, di ciascuno dei due che sceglie di fare per sé. Il dialetto del rapper è però ‘arabo’ oltre i confini campani e per di più, fa storcere il naso ai cultori del napoletano, già per il titolo “I p’ me tu p’ te”, esempio di plagio della lingua partenopea inventata dai ragazzi per inviare messaggi con il cellulare: …“T stai vestenn consapevole ca tia spuglia”… “Pur o’mal c fa ben insiem io e te”… “ciamm sprat e sta p semp insiem io e te”…“P mo no, no pozz fa”…  “Sing stiv t’era nvta”… “Felicità quant cost si e sord na ponn accatta”… “Agg sprecat tiemp a parla”… “Tu m’intrappl abbraccianm”… “Pur o riavl er n’angl”… eccetera, eccetera. Cosa sarebbe arrivato al celebratissimo sudtirolese Jannik Sinner, se fosse tra i milioni di italiani dipendenti dal Sanremo Festival? Poco, ma sono stati indecenza i fischi e gli insulti ai napoletani. Cosa è arrivato agli italiani del commosso messaggio di Massini e Jannacci per la tragedia dei morti da lavoro e cosa della solidarietà a Gaza per la strage di civili palestinesi uccisi dalle bombe di Netanyau? Dargen D’amico: “Grazie per la possibilità di cantare questo brano, lo dedico alla mia cuginetta Marta che adesso è a studiare a Malta e ha avuto questa grande fortuna. Non tutti i bambini hanno questa fortuna: nel mar Mediterraneo in questo momento ce ne sono o tanti sotto le bombe, senza acqua e cibo e il nostro silenzio è co responsabilità. La storia, Dio, non accettano la scena muta: cessate il fuoco”. Sanremo ha molte penali da pagare; canzoni plagiate, superospiti a che titolo? Qualche esempio di familismo. La storica nomenclatura di “Festival della Canzone italiana” dovrebbe includere “giovanile” per l’incalzante tendenza a privilegiare il mondo musicale degli under 21, ma è anche luogo di politica. Il timore è che ci mettano le mani gli attuali predatori della Rai.  

 

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