Il peccato originale di Israele
di Renato Casolaro
In questi giorni i telegiornali ci trasmettono, tra le altre cose, le immagini relative alle proteste del popolo israeliano contro una legge costituzionale che intende svuotare di poteri la Corte Suprema, asservendola di fatto al potere politico. Conseguenze indirette della riforma, voluta dalla destra di Netanyahu oggi al governo, sarebbero, da una parte, la possibilità di leggi ad personam per il premier indagato e coinvolto in alcuni processi e, dall’altra, un ulteriore giro di vite contro i palestinesi, visto l’aumentare del numero di insediamenti israeliani nei territori occupati. Questo almeno si inferisce dalla lettura di quotidiani quali Il sole 24 ore.
Il commento che viene subito alla mente è che il problema della democrazia in Israele è legato strettamente alla situazione politica di conflitto col popolo palestinese.
Tale situazione nasce da un vizio d’origine, non imputabile, forse, né agli uni né agli altri, ma a dinamiche storiche che trovano la loro radice in dinamiche umane, psicologiche e sociologiche.
Mi sono sempre chiesto come sia possibile che un popolo che ha subito gli orrori della Shoà diventi a sua volta un popolo oppressore, che non riconosce ai Palestinesi il diritto all’esistenza.
Il motivo di questa mia incomprensione sta nel fatto di aver visto, letto e sentito parlare alcuni sopravvissuti ai lager, come la senatrice Segre, come Primo Levi e come pochi altri, che vanno in giro nelle scuole a portare la loro preziosa testimonianza abbinandola a un discorso di umanità e pace. Sono testimoni che hanno elaborato il loro lutto e la loro terribile esperienza producendo un insegnamento alto per tutti noi. Ma sono una minoranza rispetto al numero, pur esiguo a confronto del totale, di quelli che si sono salvati.
E gli altri? Cosa ha prodotto negli altri quella orribile esperienza alla quale sono miracolosamente sopravvissuti?
Ho trovato la risposta in un passo del libro di Aldo Cazzullo “Giuro che non avrò più fame”, là dove cita un passo dello scrittore israeliano Yoram Kaniuk, il quale racconta l’esperienza vissuta da giovane nella brigata comandata da Yitzhak Rabin, quello che poi, in una celebre foto del 1993, sotto lo sguardo compiaciuto di Bill Clinton, dà la mano ad Arafat, insieme col quale ebbe il premio Nobel per la pace, e che fu poi assassinato da un estremista della destra israeliana. Sia Rabin, dunque, sia lo scrittore che narra, Kaniuk, sono israeliani che hanno partecipato attivamente e da protagonisti alla colonizzazione della Palestina che avvenne a partire dal 1948, subito dopo l’ok dato dalle Nazioni Unite. Sia Rabin sia Kaniuk però sono state persone lucide e dotate di un’onestà intellettuale che permise al primo di prodigarsi, più tardi, per la pacifica coesistenza con i palestinesi, e all’altro di narrare lucidamente ed obiettivamente quella che fu una vera e propria conquista militare.
Racconta Kaniuk che una notte, mentre riposavano dopo aver “liberato” il villaggio di Ramle cacciandone o uccidendone gli abitanti, furono svegliati da “un rumore tremendo. Uscimmo. Un migliaio di uomini, forse di più, arrivò a bordo di camion. Tagliarono il filo spinato che circondava la città e passarono davanti agli arabi piangenti davanti ai reticolati”. Si trattava, ovviamente, di ebrei sopravvissuti ai lager nazisti. “Balzarono giù dai camion come lupi affamati. Non avevano mai sentito parlare di Ramle, ma entrarono subito nelle case. Per la prima volta dopo anni tornarono a dormire tra le lenzuola. Sebbene non sapessero pronunciare il nome della città, ne diventarono i padroni. Erano colmi di rancore, un branco di sciacalli discesi dai monti delle tenebre. Gente uscita dall’inferno per riprendere un posto nella storia”.
Ecco la risposta, semplice, ovvia e per questo poco visibile, al quesito che ho posto all’inizio: come è possibile che un popolo che ha subito gli orrori della Shoà diventi a sua volta un popolo oppressore?
È possibile, eccome! È nelle cose! È il meccanismo infernale della nostra psiche!
Abituate un cane, o un bambino, a ricevere continuamente botte, ed avrete un cane feroce, o un adulto violento.
Ed è un vero miracolo se tra i sopravvissuti della Shoà ce ne sono alcuni che, come Primo Levi e come la senatrice Segre, hanno conservato la loro umanità o hanno fatto un percorso interiore che li ha portati ad essere testimoni e narratori degli orrori piuttosto che violenti occupatori delle case altrui, come fecero invece quelli che andarono a vivere in Israele. È grazie a questi testimoni che oggi sappiamo tanto sui campi di concentramento nazisti.
La conseguenza della violenza è invece, nella maggior parte dei casi, la violenza. Ed ecco come si spiega che gli oppressi siano diventati oggi oppressori.
Oggi la destra israeliana è quanto tenacemente resta di quel peccato originale, e la protesta degli israeliani è la piccola luce che può preludere anche ad un auspicabile processo di pace.
Renato Casolaro*
Napoli 1950; ex bibliotecario ed ex insegnante, ha pubblicato, oltre a testi scolastici, poesie e traduzioni di testi latini in napoletano, nonché articoli e recensioni su vari periodici.