Il pensiero tra brain imaging e nuovi interrogativi
Creare un “altro da sé” è il sogno dell’uomo da quando ha scoperto la forza del proprio pensiero. La scienza sta dimostrando che è possibile
di Bruno Pezzella*
L’uomo ha sempre desiderato un altro da sé al quale affidare il proprio pensiero perché lo arricchisse, e i propri dubbi perché glieli risolvesse. Perciò si è inventato simboli, feticci e intere religioni. E quando ha preso coscienza che sarebbe stato possibile riprodurre in dimensione speculare una creatura artificiale, ha spinto la ricerca con la curiosa meraviglia che accompagna tutte le trasformazioni, i cambiamenti, i capovolgimenti. E perciò, proprio a proposito del pensiero, molti parlano di nuove dimensioni, di nuovi spazi dentro e fuori la mente fino ad ora ignoti. Di veri e propri “capovolgimenti”.
L’informatica, la robotica, le tecniche di imaging, il pensiero sintetico sono gli embrioni ormai ben formati di questo sogno, nel quale si combinano scienza e mistero. Negli anni ’70 con il computer è iniziata una mutazione significativa del rapporto tra l’uomo razionale e gli oggetti che egli stesso costruisce per facilitare il computo ed il ragionamento. Fino ad allora, poter clonare il sistema logico e quindi emulare le capacità del cervello e dell’intelligenza era soltanto un progetto di fantascienza. Il problema si pone invece adesso, alla vigilia dell’era 3.0, soprattutto sulla base delle scoperte e dei risultati ottenuti dalla robotica e dalla cibernetica. Il 4.0, poi, rappresenta la linea di terminatore tra il passato ed il futuro.
L’invenzione del computer è stata, dunque, una “manovra di disturbo” che ha messo in crisi il rapporto tra il metafisico e il pensiero umano. Hubert Dreyfus è uno dei più accesi oppositori della teoria che pone in competizione lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e la scienza cognitiva. Nel pensiero di Dreyfus l’esperienza umana è acquistata attraverso conoscenze implicite e di comprensione e non può essere riprodotta da macchine e computer. Anche Henri Bergson facendo riferimento a immagini tecnologiche più avanzate rispetto a quella che considera l’archetipo per eccellenza della macchina e cioè l’orologio, considera il cervello elettronico come una sorta di “centralino telefonico”, che come tale si limita a smistare i pensieri verso le diverse destinazioni, insomma non in grado di fabbricare rappresentazioni. Tuttavia, non bisogna dimenticare che la stessa mente è una entità astratta, metafisica e meravigliosamente sublime, e che nella stessa misura il pensiero, sua emanazione, inteso come meccanismo che si autogenera, sono la massima espressione dell’umanesimo.
Soprattutto le scoperte delle neuroscienze, che indagano sui meccanismi cerebrali hanno svelato scenari nuovi che, alla vigilia del “metaverso” (di cui parleremo più ampiamente in una prossima occasione) assumono una importanza fondamentale non solo scientifica ma anche se non soprattutto da un punto di vista sociale ed esistenziale-individuale. Ne parla in modo dettagliato Marco Magrini, ricercatore e studioso delle nuove tecniche non invasive di “brain imaging”. Esse hanno consentito, anche se ancora in modo empirico e per adesso soltanto dall’esterno, di descrivere il funzionamento della mente mentre prova sentimenti, gioie o paure, e scoperto alcune delle funzioni e dei meccanismi genetici, neurobiologici, fisici che la mettono in relazione con la realtà.
Il cervello umano funziona alla stessa maniera dalla comparsa dell’homo sapiens sulla terra, ed è un dato di fatto che il meccanismo di elaborazione sia sempre uguale e che sia strettamente collegato a quello che succede nel mondo esterno. Nel tempo, però, è aumentato in modo esponenziale il numero di informazioni da assimilare ed elaborare, e i pensieri hanno subito una forte accelerazione e moltiplicazione: velocità di sintesi e di collegamento con le esperienze, rapidità nelle scelte, necessità di articolare ragionamenti sempre più complessi. Molte più funzioni su uno chassis sostanzialmente uguale. Tuttavia, né la chiocciola, né i byte, i giga, i followers, i like, né il mouse, né le pendrive, né tutto l’armamentario informatico-cibernetico simboli del progresso virtuale, peraltro precocemente invecchiati e già obsoleti, così come nessuna delle nuovissime diavolerie che accorciano tempo e memorie, ci hanno indicato e ci indicheranno la strada sicura da seguire. Il futuro è già tra noi con il Metaverso che opera di fatto nella e sulla realtà, ma niente dal punto di vista sociale ed emotivo è certo. In altri termini l’uomo già sa quale sarà il suo futuro tecnologico, ma non sa ancora dire come si porrà nei confronti della condizione psicologica esistenziale che sta per arrivare. Automazione, informazione, connessione e programmazione stanno cambiando i paradigmi tecnologici e culturali e questo significa mettere a regime le tecnologie che la digital transformation porta nelle fabbriche. Un compito, anzi un obbligo, che anche i governi non possono trascurare. Il passaggio alla quarta rivoluzione industriale sta spingendo le imprese verso una dimensione detta bimodale, perché costituita da un ecosistema di risorse fisiche e virtuali. I cluster innovativi vedranno il passaggio dal cloud manufacturing al manufacturing as a service che, tradotto in spiccioli, significa produzione e distribuzione più intelligenti, più veloci e più efficienti (e tutto ciò è riassunto in un termine piuttosto inquietate: smart). Ma nel frattempo, mentre già si profila la quinta rivoluzione industriale, risaltano, nel nostro paese, vaste aree che neppure conoscono lo stadio evolutivo digitale corrispondente all’1 e al 2.0. Non si può negare che l’informatica sia la regina delle scienze applicate o autonomamente applicabili a tutte le altre scienze, e che si ponga come un elemento ormai irrinunciabile in ogni forma di ricerca scientifica e non. Tuttavia, questo è ormai un vero e proprio problema sociale, e dischiude scenari politici inquietanti. Il mondo virtualmente evoluto e opulento avrà sempre più mezzi e strumenti di sfruttamento delle fasce di popolazione che non avendo accesso alle tecnologie informatiche saranno deprivate di ogni forma di conoscenza avanzata. Gli anziani, i marginali già nelle stesse società evolute vivono sulla propria pelle questo gap.
Del binomio automazione-virtualizzazione si trovano embrioni già nel III secolo a. c, nei topos delle statuette di legno usate nelle cerimonie religiose che all’interno avevano dei meccanismi che muovevano braccia e le gambe, e che rappresentavano l’umanizzazione delle divinità; sempre in Grecia, nelle bambole teatrali che camminavano in scena, o nei marchingegni come la mechanè (una gru) che creavano l’effetto della divinità che scendeva dal cielo; nelle piattaforme su ruote per simulare il movimento dei cocchi o delle navi, o negli specchi che simulavano ombre e fantasmi, antenati degli ologrammi di adesso. Leggende e romanzi ci hanno raccontato storie di creature artificiali dotate di volontà propria, da Paracelso che creò lo Homunculus con lo sperma umano fecondato nel ventre di una vacca, a “Frankenstein”, primo robot umanoide, nato dalla fantasia di Mary Shelley che, nel 1818, pubblicò il primo romanzo di fantascienza e così diede inizio a quattro generazioni di scrittori di science fiction.
Né si può ormai escludere la possibilità che il cervello umano e l’intelligenza artificiale possano essere connessi nel profondo, fino al punto che il computer possa condizionare il pensiero e la mente senza essere sollecitato dall’uomo, o che un microchip (come già avviene nelle cure del Parkinson) si sostituisca ad alcuni stimoli e funzioni cerebrali. Già esistono robot che compiono operazioni umane e che riescono perfino a ballare, di per sé operazione complessa anche per un essere umano. Si tratterebbe dell’epilogo di un processo di modellamento dell’uno sull’altro e di un vero e proprio ribaltamento dei ruoli. In pratica, di una “intimità uomo-macchina” che viene definita robotica sociale e di un vero e proprio realismo digitale consistente nella capacità della macchina di ricreare l’effetto realtà, oppure di concepire la realtà e dare forma al pensiero digitale come già avviene con le stampanti in 3d.
La rappresentazione del mondo esterno nel cervello è tarata su un codice universale astratto, quindi identico per tutti. Si tratta di un sorprendente risultato della ricerca scientifica. Sulla base di questa scoperta è stato prodotto un “computer-classificatore” dei pensieri che, partendo proprio dai diversi pattern di risposta neuronale della corteccia cerebrale con il supporto di algoritmi riesce a interpretarne l’alfabeto. Come funziona questo computer? Utilizza la risonanza magnetica cerebrale funzionale e riesce vedere cosa avviene nella testa di un individuo ogni volta che riceve una stimolazione visiva o uditiva, misurando i flussi di sangue che arrivano al cervello.
Infine, è possibile che un cervello collegato attraverso dei sensori ad un computer possa comandare i movimenti di un altro corpo e ovviamente può avvenire il contrario, a cervelli e corpi invertiti. Dunque, le due menti sono in grado di scambiarsi i corpi. Questo dimostra che possediamo poteri ancora sconosciuti. Grazie alle moderne metodiche non invasive è possibile esaminare i processi neurobiologici che sottendono alle emozioni e ai sentimenti. Una nuova pubblicazione della Society of Neuroscience ha verificato in particolare quali siano le zone del cervello che si attivano quando ci coglie l’euforia dell’innamoramento. Per adesso l’indagine si limita a due individui di sesso diverso, e dipenderebbe dall’uso di parti diverse e invertite dei rispettivi cervelli. E dunque, “vive la différence!” (continua)
Bruno Pezzella*
Giornalista, scrittore, saggista e narratore. In precedenza: docente presso Università Federico II, Napoli; in precedenza Docente ordinario presso Miur. Ha pubblicato saggi sulla specializzazione all’insegnamento e sulla comunicazione. Ha analizzato i processi di produzione e di induzione del pensiero (Il pensiero tra incertezza e coraggio, Cuzzolin, 2011 – Adessità, il tempo della provvisorietà e del transito 2017, Cuzzolin – Shock Down, la notte del pensiero, Kairos, 2021) E’ autore di romanzi e racconti. Collabora a riviste nazionali ed estere. Ha scritto testi per Peppe Lanzetta e Adriana Carli. Ha coordinato mostre-evento per il Comune di Napoli (1982) e la Regione Campania (1996).
Note, Fonti, Riferimenti
Bruno Pezzella, Shock Down, la notte del pensiero, Kairos edizioni, 2021
Bruno Pezzella, Il pensiero tra incertezza e coraggio, Cuzzolin editore, 2011
Bruno Pezzella, Adessità, il tempo della provvisorietà e del transito, Cuzzolin editore, 2017
Giorgio Israel, docente di Storia della matematica Università La Sapienza di Roma, in “L’Osservatore Romano” del 4/2/2011.
Marco Magrini, Cervello. Manuale dell’utente. Guida semplificata alla macchina più complessa del mondo, Giunti, 2017.
Chiara Bini, in – Toscana Notizie in Published in news– viene riportato il lavoro condotto dall’Unità operativa di psicologia clinica dell’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa e dal Laboratorio di biochimica clinica e biologia molecolare dell’Università di Pisa entrambi diretti da Pietro Pietrini.
Piero Pietrini, neuroscienziato e psichiatra, da alcuni anni si occupa della comprensione dei correlati genetici e neurobiologici dei processi decisionali, del comportamento umano normale e deviante e delle implicazioni delle scoperte delle neuroscienze in campo sociale, economico e giuridico.
Emiliano Ricciardi, Neuroscience Lab con Pietrini hanno studiato i processi cerebrali delle funzioni mentali e l’attività delle diverse aree del cervello umano.
Pubblicazioni AOUP e Università di Pavia e Ferrara.