Esclusiva per Le Sociologie
Intervista al prof. Domenico De Masi sul lavoro e sui sociologi
di Sergio Mantile
Forse la più conosciuta – e probabilmente meno praticata – delle Prediche Inutili di Luigi Einaudi recita: “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”. La ricerca da lei svolta sul lavoro, e pubblicata con il titolo Lavoro 2025. Il futuro dell'occupazione (e della disoccupazione) era stata voluta da alcuni parlamentari italiani per fornire una base scientifica alla loro attività legislativa. Ritiene che quella collaborazione tra scienziati sociali e legislatori abbia prodotto effetti positivi?
Quella collaborazione ha prodotto due effetti positivi:
1) i risultati della ricerca sono stati discussi prima in un grande convegno di due giorni tenuto nella sala dei gruppi parlamentari, con la partecipazione di oltre 20 esperti e la presenza di circa 250 parlamentari, e poi in numerosi incontri con il pubblico, organizzati in varie città italiane.
2) I risultati hanno orientato alcune proposte di legge particolarmente innovative, discusse nella Commissione Lavoro della Camera e del Senato.
Ritiene che oggi la politica, soprattutto quella nazionale, abbia, almeno in buona misura, disposizione e volontà ad ascoltare la società nel suo complesso, anche attraverso la conoscenza scientifica cui potrebbe accedere, come nel caso appena citato? Ovvero, all'opposto, che sia chiusa in logiche molto diverse da quelle dei cittadini comuni, essendo più sensibile a gruppi di pressione finanziariamente forti?
Non credo che i parlamentari siano chiusi in logiche diverse da quelle dei cittadini comuni che li hanno eletti: piuttosto guardano la società dal loro punto di vista che, per forza di cose, non è quello (né deve essere quello) dei cittadini comuni. Credo, invece, che la maggioranza dei parlamentari non sappia cosa significhi e come si faccia ad “ascoltare” la società con strumenti scientifici. Si illudono che siano “scientifici” i vari sondaggi trasmessi dalla televisione, tutti spacciati per indagini rigorose anche se condotte su campioni e con metodi approssimativi. Sarebbe dovere delle associazioni professionali dei sociologi denunziare con forza queste scorrettezze e pretendere che i sondaggi siano affidati a professionisti onesti, oltre che competenti.
Da almeno due decenni i partiti politici non inseriscono più nei loro programmi elettorali degli obiettivi occupazionali. É facile invece che, relativamente al piano finanziario di qualche grande opera pubblica parlino, quasi come fosse un effetto secondario, della possibilità che possano “creare dei posti di lavoro”. A suo avviso, si tratta di uno degli effetti di quel carattere del nuovo secolo, che, così come lo pronosticò ne Il futuro del lavoro, sarebbe stato il secolo della lotta dei ricchi contro i poveri come il Novecento era stato il secolo della lotta dei poveri contro i ricchi?
Non c’è dubbio che, dopo i trent’anni post-bellici connotati da politiche economiche keynesiane e coronati da numerose conquiste dei lavoratori (riforma agraria, Cassa per il Mezzogiorno, riforma sanitaria, nuovo diritto di famiglia, Statuto dei lavoratori, ecc.), sono iniziati e procedono anni di lotte di classe condotte (finora vittoriosamente) dai ricchi contro i poveri. I programmi elettorali, che generalmente si riferiscono al quadriennio successivo, non azzardano previsioni precise sul mercato del lavoro per il semplice fatto che nessuno è in grado di prevedere con quattro anni di anticipo come esso si comporterà. Ormai l’andamento dell’occupazione dipende da variabili così sfuggenti – progresso tecnologico, globalizzazione, delocalizzazioni, pandemie, guerre, ecc. – che è meglio astenersi da pronostici destinati ad essere puntualmente smentiti.
Ci ha colpito, nel suo ultimo libro, Lo Stato necessario, una citazione di grande effetto. Che all'epoca della massima espansione l'Impero Romano contava circa 350 mila soldati ed un corpo di amministratori dello stesso numero. Un burocrate per ogni soldato. Fa pensare rispetto ad uno Stato italiano moderno che, se in passato è stato riempito non di rado eccessivamente, per ragioni occupazionali/elettorali, di dipendenti, è stato poi così svuotato che i servizi essenziali si sgretolano e persino il funzionamento delle attività private ne risente fortemente. Con quali argomenti si possono sensibilizzare a riguardo legislatori, amministratori e cittadini?
In epoca imperiale Roma superò il milione di abitanti e conquistò, per poi amministrare, un territorio che andava dalla Scozia alla Siria. L’Italia attuale è molto più piccola dell’Impero romano sia per superficie che per numero di abitanti, tuttavia i suoi “burocrati” sono dieci volte più numerosi per il semplice fatto che, nel corso di questi duemila anni, lo Stato ha assunto un ruolo sempre più complesso e i cittadini hanno preteso servizi sempre più numerosi e sofisticati. Anche le forze armate hanno aumentato la loro consistenza consistendo oggi in circa 490.000 dipendenti. Il nostro attuale “parco” di dipendenti pubblici occupa circa 3,2 milioni di lavoratori, pari al 15% di tutti gli occupati. In Gran Bretagna sono il 16%, in Francia il 22% e in Svezia il 29%. Le imperdonabili deficienze dei nostri servizi pubblici e il divario scandaloso che essi presentano tra Nord e Sud, dipendono non solo dal fattore numerico ma anche dalla farraginosità delle leggi, dalla formazione e organizzazione dei burocrati, dal comportamento dei cittadini. Per denunziare queste deficienze e per sensibilizzare legislatori, amministratori e cittadini niente sarebbe più utile dell’azione competente dei sociologi, che pure essendo decine di migliaia, restano caparbiamente assenti dal dibattito socio-politica italiano.
In particolare nell'ultimo anno, sicuramente per effetto del PNRR, ma non solo, si sono moltiplicati in maniera vistosa i convegni sociologici, con il tratto distintivo della collaborazione tra sociologi accademici e sociologi professionali. É dello scorso 2 luglio la richiesta di audizione inviata insieme al Ministro del Lavoro dalle principali associazioni sociologiche accademiche e professionali; e prima ancora c'era stata una lettera, ugualmente “unitaria”, al Ministro della Salute Speranza. A suo avviso, tali segnali sono sintomi di un più consapevole bisogno della sociologia da parte istituzionale e, contemporaneamente, di una accresciuta volontà, da parte dei sociologi, di vedere considerata la propria professione? Oppure di altro?
Non so quale sia stata la risposta dei Ministri del Lavoro e della Salute a queste due sollecitazioni dei sociologi. Il problema non è solo sollecitare ma soprattutto ottenere risposte positive. La mia personale impressione è che gli 83.000 sociologi sfornati dalle nostre Università negli ultimi 30 anni siano stati poco efficaci nell’organizzarsi, nel far sentire la propria voce, nel conquistare nella vita pubblica quello spazio che la sociologia merita. Lo strapotere del neoliberismo è riuscito a eclissare tutte le scienze sociali, a cominciare dalla sociologia, e gli economisti hanno surclassato i sociologi nel mondo accademico come in quello professionale. Però, a partire dal 2008, la grande crisi economica, poi la pandemia, quindi la guerra hanno svelato i limiti spaventosi e gli effetti perversi del neoliberismo facendo riemergere il bisogno di sociologia. Purtroppo i sociologi, privi di autostima, hanno tardato ad accorgersi che l’economia stava perdendo il controllo del sistema socio-politico e che era arrivato il momento di far valere le competenze sociologiche tanto trascurate quanto insostituibili. Da ultima, l’ascesa della destra al governo ha destinato le sinistre a un’opposizione dura restituendo forza al conflitto sociale, campo di analisi specifico della sociologia. Tutto, dunque, concorre positivamente per una rinascita della sociologia e sarebbe sciagurato se i sociologi lasciassero trascorrere questa occasione preziosa senza coglierla al volo per compattarsi in una rafforzata e unificata organizzazione professionale, indispensabile per se stessi e per lo sviluppo equilibrato del Paese.
Intervista rilasciata in esclusiva a Le Sociologie dal prof. De Masi in data 26 novembre 2022
Ottima intervista. Un giudizio tagliente da parte di De Masi sui sociologi che non sanno organizzarsi ed influire sul cambiamento. Forse c’è bisogno ogni tanto di svegliarsi per osservare il reale. Complimenti a lesociologie.it