Io ti salverò
(con tanta musica e qualche bomba atomica)
Qualche riflessione su un vecchio film
di Sergio Mantile
Qualche giorno fa ho rivisto con piacere, per la centesima volta, il film Io ti salverò di Alfred Hitchcock. Il film del 1945 avviava con efficacia narrativa la divulgazione popolare del metodo psicoanalitico in America, ed è sociologicamente interessante. L’ironia che, per esempio, il dottor Alessio Brulov, il maestro di Costanza/Bergman, riserva alla polizia, stigmatizzando la differenza di approccio al controllo sociale: metodi psicologici moderni, contro metodi polizieschi esplicitamente considerati rozzi, superati. “Poco ci mancava che mi sottoponessero a tortura” dice approssimativamente, a proposito delle domande che qualche minuto prima un sergente di polizia e un suo collaboratore gli hanno rivolto, peraltro gentilmente.
Nell’opera di Hitchcock, l’intera storia si sviluppa come una complessa ricerca della verità, che viene perseguita con strumenti intellettuali, raffinati, nel cui metodo però lo spettatore viene emotivamente e pedagogicamente incluso.
Peraltro, sul piano epistemologico, è ben rappresentato il contrasto che oppone – ma in termini dialettici, senza astio – la logica del dottor Brulov, sulle ragioni, fondate o meno, della colpevolezza di Ballantyne/Gregory Peck. Brulov, portatore di un paradigma maschile, che incorpora quello psicoanalitico, vede negli scrupoli di Costanza un atteggiamento “femminile”, dettato dall’istinto materno, che devia le sue riflessioni dalla lineare correttezza scientifica. Viceversa, le riflessioni di Costanza sono circolari, inclusive, capaci di integrare intuizione e deduzione, istinto e distacco. Il metodo femminile di Costanza si rivelerà vincente. Io ti salverò mi sembra un bell’esempio di livello di “civilizzazione” nel senso di Norbert Elias. Restando nel campo degli spettacoli visivi, difficile non rilevare la profonda differenza con il punto negativo che segna invece oggi il processo di civilizzazione – al pari dell’epoca dell’affermazione del nazismo – quando, saltando da un canale televisivo all’altro, si vedono quasi esclusivamente film e serie televisive con uomini costantemente in armi, anzi, in assetto di guerra.
Giubbotti antiproiettile, elmetti, fucili, gli immancabili microfoni con il filo a spirare che scendono all’orecchio, ecc. E, quello che è peggio, l’esito puntualmente mortale, ossia la conclusione con l’assassinio di qualcuno, descritto come conclusione di un procedimento di giustizia. Come forma attuale ed efficace di una pratica di giustizia.
Le varianti fanno rabbrividire: poliziotti che sanno che il cattivo di turno “la farà franca” se lo prendono vivo, e perciò lo abbattono senza dargli scampo, e falsificano poi la scena del crimine, avocando praticamente a loro stessi, oltre alle funzioni di polizia, quelle di giudizio, di sentenza e di esecuzione della pena, e persino legislative (la legge sono loro). Oppure, agenti segreti che praticano la tortura in nome del bene collettivo della Nazione da difendere. All’opposto, i metodi legali che fanno ricorso alla psicologia o alla sociologia, presentati come strumenti artificiosi per falsificare il vero da parte di criminali, mafiosi e terroristi. Che quest’ultimo gruppetto di “bella gente” abbia sempre cercato di strumentalizzare leggi e metodi della democrazia, con avvocati molto costosi, è un fatto. Altra cosa è dire che leggi e metodi della democrazia e della scienza sono automaticamente al servizio dei criminali.
Quello che è terribile, in questa rappresentazione dicotomica della realtà, dove o tutto è bene o è tutto male, è che finisce completamente la discussione, il confronto logico e argomentato per la ricerca della verità. O con me, o contro di me, a qualsiasi costo.
Purtroppo, è una logica che si applica oggi anche in campi potenzialmente molto più dannosi, come quello ambientale (con le macchine elettriche più inquinanti di quelle tradizionali) in campo sanitario o in quello della geopolitica.
La psicologia è allora scaduta nelle considerazioni delle élites finanziarie e politiche? Assolutamente no. Alla sua pedagogia sociale sono stati lasciati i problemi individuali dell’ansia e delle fobie. La psicologia come strumento di seduzione e prescrizione di massa si è fatta invece invisibile, segreta; decodificabile quasi solo con le analisi di un osservatore acuto come quelle del filosofo sociale, di origine coreana, Byung-Chul Han con il saggio Psicopolitica.