La famiglia nella società tra cambiamento e resilienza
SOCIOLOGIA DELLA FAMIGLIA
di Rossella Cappabianca Sociologa, Mediatore Familiare.
La famiglia è la prima agenzia di socializzazione che l’individuo incontra nel suo percorso di crescita e formazione.
Con il termine “socializzazione” si indica il processo di acquisizione delle competenze necessarie all’individuo per inserirsi a pieno titolo nella società. E il nucleo familiare è proprio quel contesto in cui sin da piccoli si impara ad interagire consapevolmente con gli altri e a comunicare secondo regole condivise. Ma ciò che per gli esperti del campo assume un significato profondo e specifico in relazione ai legami familiari, nella società comune, invece, è spesso usato in maniera generale e confusa deformandone la natura. Le famiglie contemporanee presentano delle linee labili di definizione dei ruoli.
I più ampi mutamenti sociali, la ricerca della parità dei ruoli e il maggiore riconoscimento degli stati socio-emotivi legati alla coppia, se da un lato hanno garantito un maggior rispetto delle libertà e delle decisioni reciproche, dall’altro hanno ingigantito la conflittualità di coppia a danno dell’intero nucleo familiare e in particolare dei figli, se presenti. Oggetto centrale delle analisi compiute dalle Scienze Sociali sulla famiglia come agenzia di socializzazione è la relazione genitore-figlio. Ma cosa significa “essere genitore”?
Il temine deriva dal latino “gignere” ossia “generare” ma è chiaro che non ci si può riferire semplicemente a questo quando pensiamo all’essere padri o madri all’interno di una famiglia.
Infatti, ciò che identifica queste figure è la genitorialità, ossia l’esercizio delle funzioni che sostengono la crescita e la formazione dei figli, unite alla capacità e responsabilità di eseguirle. Non si tratta solamente di sopperire a dei bisogni ma di contribuire anche allo sviluppo socio-emotivo dei propri figli per garantirgli la giusta autonomia di vita. Tra le funzioni svolte dalla genitorialità la funzione emotiva riveste un ruolo centrale, cioè la capacità di condividere con i figli emozioni positive.
In famiglia i bambini apprendono i differenti compiti che la società attribuisce loro in base al genere di appartenenza.
I cosiddetti “ruoli di genere” intesi come i comportamenti e le competenze che la società reputa “consoni al genere sessuale di appartenenza” come se ci fosse una “linea marcata” a definirli, un vero e proprio “condizionamento perpetrato allo scopo di rendere automatiche certe prestazioni”. Ecco perché quando ad un certo punto capita che si “spezza” il ciclo vitale della famiglia si genera una profonda crisi non solo nella coppia che vive il conflitto ma nell’intero nucleo familiare e i figli sono la catena più debole poiché sono “vittime due volte” essendo reduci di un condizionamento che avviene a priori, già nella definizione originaria del loro ruolo.
In questo contesto entra in gioco il ruolo svolto dalla sociologia applicata e il significato del concetto di resilienza familiare. In antitesi ad un modello clinico centrato sul deficit questo approccio orientato alla resilienza fa riferimento alle risorse e alle potenzialità familiari per affrontare le difficoltà.
Dal latino re-salio che stava ad indicare il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza delle onde del mare.
Questa metafora ci fa capire che una volta curata la ferita ed elaborato il proprio dolore, riparata “la barca della vita” si può “riprendere la navigazione” ed andare avanti. Di solito, si è portati a riferire queste dinamiche alla singola persona ma in realtà possono essere applicate anche alla famiglia nel suo insieme, come la letteratura sociologica specialistica nel settore ci dimostra.
Motivo per cui è necessario propagarne la conoscenza.
Bene fa la sociologa e mediatrice a connettere il sistema familiare con la sociologia. Finora sono stati psicologi o operatori dei sevizi sociali ad occuparsi di mediazione, mentre le famiglie vanno inserite in sistemi più complessi che rifuardano gli ambiti “larghi” della sociologia.