La rappresentazione della violenza sulla donna secondo una prospettiva di Sociologia dell’Arte all’Università “Parthenope” di Napoli.

La rappresentazione della violenza sulla donna secondo una prospettiva di Sociologia dell’Arte all’Università “Parthenope” di Napoli.

Di Ivan Guidone

 

Nella cornice della rassegna Parthenope Women’s Week, nel pomeriggio del 26 novembre scorso, presso l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” (Palazzo Pacanowski, ex Palazzo SIP), si è svolto l’incontro-dibattito “Donne dell’Arte e nell’Arte. La Rappresentazione della Violenza sulla Donna, dalla Denuncia al Progetto”. L’evento, introdotto da Maria Ferrara (Presidente del Comitato Unico di Garanzia dell’Università Parthenope) e moderato da Lucia Abbamonte (Docente di Lingua Inglese dell’Università Parthenope), ha visto gli interventi di Mimma Sardella (già Direttrice di Palazzo Reale, Storico dell’Arte del Ministero della Cultura) e di Diana Gianquitto (Critico d’Arte e ideatrice metodo CCrEAA).

Tra questi, anche l’intervento del sottoscritto che, in qualità di Sociologo dell’Arte, ha rappresentato l’Associazione Nazionale Sociologi Dipartimento Campania con una breve trattazione dal titolo “La Violenza di Genere nell’Arte Contemporanea”. Come sappiamo, la Sociologia dell’Arte è lo studio di come l’Arte e la Società si influenzano a vicenda. Questa particolare branca della Sociologia mira alla comprensione di come le opere d’arte (come quadri, sculture, musica, ecc.) vengono create, interpretate ed apprezzate dai membri di un determinato gruppo sociale e come queste opere possono riflettere, influenzare o cambiare in quale modo la società in cui esistono.

Il mio intervento si è aperto con il capolavoro di Edgar Degas dal titolo “Intérieur / Le Viol” (1868-69), un’opera pittorica nella quale l’artista francese decide di rinunciare alle tipiche ambientazioni luminose per rappresentare invece una scena gloomy, a malapena illuminata da una lampada da tavolo, dove la vittima della violenza è rappresentata di spalle, piegata dal peso dell’ingiustizia subita, mentre l’aguzzino – dalle fattezze quasi da satiro – le blocca la porta, fondendosi con le spalle alla sua stessa ombra; mi è sembrato interessante far notare al pubblico come in quest’opera persino gli specchi non vogliono “riflettere” lo scempio avvenuto, nonostante il fatto che l’artista francese abbia spesso usato espediente del riflesso negli specchi per aumentare la spazialità delle sue composizioni come “La Famiglia Bellelli” (1860-62) e “La classe di danza” (1871).

Ma se il quadro di Degas è gloomy, quello di Frida Kahlo è a dir poco splatter/gore, per usare terminologie cinematografiche: si tratta di “Unos cuanto piquetitos” (1935), opera in stile naïf ispirata ad un vero caso giudiziario che colpì profondamente la sensibilità dell’artista messicana a causa della sfacciataggine dell’assassino che al processo si giustificò dicendo d’aver dato solo qualche punzecchiatina alla moglie. L’opera pittorica della Kahlo può essere considerata senza dubbio il primo esempio di rappresentazione di femminicidio su tela. Un’altra immagine forte proviene invece dall’artista statunitense Sue Williams che con la sua scultura in resina “Irresistible” (1992): la scultura, raffigurante una donna riversa a terra ricoperta di escoriazioni e scritte sessiste su tutto il corpo, ha saputo rappresentare in modo più che esaustivo la violenza fisica e psicologica contemporaneamente subita dalle donne.

Ho proseguito la mia trattazione parlando dell’installazione Zapatos Rojos (Scarpe Rosse) dell’artista messicana Elina Chauvet che ha trovato una divulgazione mondiale senza eguali perché – a dispetto della sua semplicità realizzativa – l’opera ha un altissimo valore artistico e morale perché pone lo spettatore dinanzi ad un fenomeno socioculturale troppo diffuso ed ancora di difficile risoluzione. L’opera di Elina Chauvet può senza dubbio essere considerata un esempio di arte sociale meritevole di una trattazione sociologica a parte.

Ho voluto poi concludere la mia trattazione con due protagonisti della scena artistica campana. Reduce dal Padiglione Nazionale Grenada de La Biennale di Venezia (dove ha presentato l’opera “L’étranger”), l’artivista salernitana Gilda Pantuliano (in arte GildaPan) ha dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne la sua opera “Hadis”. In quest’opera, l’artista compie un gesto “simbolico”, a mo’ di ex voto, decidendo di tagliare i suoi capelli e custodirli in una teca insieme a del travertino rosso proveniente dall’Iran, simbolo del sangue delle donne iraniane versato dal regime teocratico. L’artista ha inoltre utilizzato il suo stesso sangue per vergare le parole su frammenti di carta “strappata” così come la vita delle donne vittime della discriminazione di genere.

L’ultimo artista trattato è stato invece lo scultore Domenico Sepe con la sua scultura “Pudore Svelato” del 2007. Ho potuto approfondire quest’opera grazie al fatto di essere presente nella commissione scientifica di un suo nuovo catalogo curato da Lorena Cangiano. Quest’opera è stata dedicata dallo scultore napoletano alla lotta contro le violenze di genere e rappresenta appunto una donna dal seno scoperto, priva di un braccio e con l’espressione del volto umiliata. Benché sia il bronzo il suo materiale prediletto, Sepe la realizza appositamente in cera per donare all’opera quella dolcezza e delicatezza tipiche dell’anima femminile.

Erano presenti all’evento anche il Presidente dell’ANS Campania Domenico Condurro, il Vicepresidente dell’ANS Campania Maurizio Vitiello (Critico d’Arte e Divulgatore Culturale), Mario Iaione (Scultore), Mario Mirabella (Membro dell’ANS Campania) e Pino Cotarelli (Direttore Responsabile della rivista LeSociologie).

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