NAPOLI CITTA’ IN DISMISSIONE

NAPOLI CITTA’ IN DISMISSIONE

di Franco Zoleo*

La città di Napoli, nel corso della sua crescita urbana, ha mostrato un allarmante carenza di programmi e strategie evidenziando una forte incapacità di orientarsi secondo chiare e motivate scelte urbanistiche.

Strategie di sviluppo urbano e industriali errate, che hanno determinato la crescita indifferenziata a macchia d’olio della città, tutt’ora soffocata nel suo perimetro comunale, nel limitato spazio della sua orografia naturale e tra vincolanti sbarramenti artificiali.

I piani urbanistici approvati nel tempo, meglio classificabili come piani di edificazione, sono stati concepiti con gli stessi criteri di schematica zonizzazione del primo novecento ed hanno prodotto nefaste separazioni funzionali: la separazione città-campagna, la prolificazione delle aree residenziali, i poli industriali e direzionali ecc., con diversi interventi mai riusciti ad integrarsi tra loro, ma rimaste isole residenziali e direzionali differenziate e distinte, accentuandone il carattere di segregazione che le caratterizza.

Tutto ciò ha contraddetto ogni principio della sociologia urbana che interpetra il sistema urbano come unità complessa e dotata di forti relazioni tra i singoli elementi, piuttosto che come un aggregato di parti che possono essere considerate separatamente.

Assenti i principi fondamentali della sociologia urbana che ha la particolarità di interessarsi della città nei suoi aspetti sociali e, specificamente, l’agire dei soggetti che compongono la popolazione urbana alle loro relazioni.

DUE POLI IN DISMISSIONE

Risale agli anni ‘70 la decisione di attuare un grande piano strategico di trasformazione urbana della città di Napoli con la creazione di due poli di sviluppo, ad oriente e a occidente: l’Area industriale di Bagnoli e il Centro Direzionale.

Dopo decenni di confusa gestazione e, in carenza di analisi serie e di proiezioni nel futuro, furono concepiti due progetti urbani che risultarono ben presto non contestualizzati, in crisi funzionale e già obsoleti, con un destino già segnato, e poi miseramente falliti.

 L’AREA INDUSTRIALE DI BAGNOLI

Sarebbe stato logico insediare un grande centro di produttività altamente inquinante, all’esterno del centro urbano e lungo grandi assi stradali della rete metropolitana.

Per Bagnoli invece si decise irresponsabilmente di trasformare una grande area esistente a margine dell’area urbana di Napoli, – contesto ambientale ed ecologico che doveva essere salvaguardato come parco naturale protetto per l’eccezionale interesse geologico, paesaggistico e archeologico, – a base di uno sviluppo industriale pesante, che avrebbe irrimediabilmente distrutto quel contesto naturale e inquinata l’intera zona flegrea, già congestionata da una forte densità abitativa.

Gli effetti dei grandi errori commessi, unitamente alle generali crisi economiche succedutesi nel Paese, imposero dal 1985 al 1992 una graduale dismissione dell’area di Coroglio, non più capace logisticamente di garantire lo sviluppo industriale, con la smobilitazione dello stabilimento Italsider, dei complessi adiacenti, lo smantellamento delle grandi industrie metalmeccaniche e metallurgiche e una grave crisi occupazionale.

24 anni dopo (1996) fu finalmente approvata la Variante urbanistica al P.R.G della zona occidentale per la dismissione del sito industriale e l’adozione di un Piano di Rigenerazione urbana per la bonifica e la riqualificazione a Parco del sito di Bagnoli.

Ma a tutt’oggi, dopo la completa dismissione del 1992 (dopo 30 anni) quell’area è ancora in uno stato di generale abbandono.

IL CENTRO DIREZIONALE

Ma c’è la seconda grande dismissione, quella del centro degli affari a Napoli, meglio nota come CENTRO DIREZIONALE.

Partito da un disegno ambizioso: quello di realizzare un grande e complesso piano strategico con l’obiettivo di proiettare la città di Napoli su tutta la Regione e ridare a Napoli una funzione di capitale del mezzogiorno promotrice di iniziative, di sviluppo culturale ed economico.

Ambizioni presto ridimensionate durante il dibattito sulla sua localizzazione.

Questo importante centro, oltre a poter accogliere le numerose complesse funzioni strategiche che gli venivano assegnate, doveva contenere tra l’altro il nuovo Palazzo di Giustizia, e avrebbe dovuto pertanto richiedere la disponibilità di una diversa e più ampia area di insediamento, organicamente collegata con il centro urbano e con il suo hinterland.

Nulla di tutto questo.

Prevalse la decisione di far gestire questo delicato e complesso piano da consorzi di proprietari privati di aree esistenti nella zona orientale della città, nella depressione delimitata dal carcere di Poggioreale, i cimiteri e il rilevato ferroviario, area dove si estendevano le antiche paludi ricoperte, ma non bonificate, (ancora scorre sotterraneo il Sebeto) su un brandello di territorio incastrato tra la via di Poggioreale e del perimetro del rilevato ferroviario.

Un’area vuota da cementificare grazie a un altissimo indice di fabbricabilità territoriale e in dispregio di qualsiasi analisi qualitativa né alcuna valutazione sulle esigenze e bisogni della città, ad iniziare dall’accessibilità a quest’area da parte dei cittadini, ostacolata dalla presenza del rione Vasto inserito come tappo tra la città ed il nuovo centro.

Fallita l’ipotesi di aprire un varco lungo il rione Vasto e di realizzare una larga strada parco fino a Porta Capuana, il Centro degli affari e dei servizi rimase sconnesso con la città come isola chiusa e periferica.

Il Centro Direzionale è nato ed è rimasto così corpo estraneo alla città di Napoli, anche rispetto al suo inserimento paesaggistico.

Infatti, grazie ad un ingombro discutibile di edifici fuori scala, quel panorama straordinario in cui il centro antico si stagliava sul fondale del mare è stato irrimediabilmente alterato.

Ogni napoletano ha sentito fin dalle origini che questo luogo non gli appartiene, non fa parte della sua città.

Un’opera anacronistica che avrebbe avuto senso forse negli anni ‘50, ma non nell’epoca digitale.

Oggi quell’opera di Kenzo Tange è vecchia e inservibile, tant’è che attualmente il Centro Direzionale è in stato di abbandono: grattacieli di vetro e metallo sono svuotati e in attesa di un difficile riuso; assenza di servizi, negozi chiusi; generale abbandono e degrado.

Oggi, con la crisi del parco uffici e della scarsa residenzialità il centro è già dal primo pomeriggio un’area desertificata.

Lentamente muore nel generale svuotamento di funzioni e di senso.

Non è facile immaginare interventi rigenerativi senza che vengano rimosse quelle condizioni poste all’origine dell’insediamento oramai superate, anche alla luce della tragedia pandemica che abbiamo vissuto e di cui dovremo fare i conti.

Sarà necessaria un’ampia operazione di demolizione e ricostruzione in linea con modelli contemporanei di intervento e con tecnologia d’avanguardia.

Bisogna soprattutto restituire questo pezzo di città alla città, allontanando parte del terziario e rivitalizzandola con l’insediamento di tanti nuovi abitanti, servizi, attrezzature pubbliche per l’istruzione, la cultura, lo sport, le cose che servono alle persone per vivere.

Una grande azione pubblico/privata, che conservi la traccia di questo luogo ormai stratificatosi nella città, mutandone però l’identità e l’abitabilità, integrandolo finalmente con quello che c’è intorno, ad iniziare dai vecchi quartieri del Vasto.

Franco Zoleo*

Architetto e Urbanista. Redattore di Piani urbanistici e componente di assessorati urbanistici in Comuni campani, Ha rappresentato per molti anni gli architetti nel Consiglio dell’Ordine di Napoli ricoprendo per un triennio la carica di Presidente. Legato all’ambiente artistico napoletano, opera nel campo del disegno, della ceramica e dell’acquerello.

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