Sociologia della morte/Antropologia
Negazione e rinascita della morte
di Pasquale Martucci
Dalla ritualità comunitaria alle forme moderne di vivere l’evento luttuoso, in una ricerca sociologica completa ed articolata, pubblicata nel libro: “Morire all’italiana. Pratiche, riti, credenzeâ€, Il Mulino, settembre 2022.
Fino agli ultimi decenni del novecento, gli studi intorno alla morte e alle sue manifestazioni rituali sono stati compiuti dalle discipline antropologiche, riguardanti il folklore e la tradizione popolare, che hanno rilevato le espressioni collettive delle piccole comunità . In particolare, si sono studiate pratiche e cerimonie che vanno dalle veglie funebri, ai pianti delle prefiche, alle lodi sul ruolo sociale del defunto, e tutta una serie di gesti e comportamenti legati all’evento luttuoso.
Uno degli aspetti su cui si concentravano le esigenze comunitarie era la gestione del trapasso dello scomparso e l’abbandono dei suoi cari, che dovevano essere accolti e resi parte integrante del contesto. Per fare un esempio, Ernesto de Martino in: Morte e pianto rituale, rilevava proprio la funzione sociale dei rituali funebri, al fine di impedire la “crisi della presenzaâ€, attraverso pratiche che servivano ad ufficializzare la dipartita, richiamare a specifiche forme di appartenenza, esprimere solidarietà alla famiglia. Il funerale richiamava il ruolo del gruppo nei confronti della morte e la celebrazione dell’avvenuto passaggio allo stato spirituale, al mondo ultraterreno. Il senso del “passaggioâ€, il moto dinamico di transizione, si individuava comunemente nei riti delle religioni rivelate.
Questa concezione che potrebbe essere definita “addomesticata†(Ariès) lascia verso la fine del secolo scorso il passo alla negazione.
Nel mondo occidentale, la morte è vissuta con dolore, rimpianto, commozione, senso di privazione del rapporto con il defunto, lutto. Prevale l’interpretazione dell’evento come fatto negativo, un danno sia personale che sociale che colpisce i superstiti; e ciò anche laddove siano maggiormente influenti i culti che considerano la morte come un avvicinamento alla deità e dunque un momento, se non positivo in sé, quantomeno non negativo.
Il superamento del modello tradizionale, basato su regole e norme codificate dalla comunità , soprattutto religiose, ed il successivo tentativo di abbandonare il modello negazionista, ha fatto emergere una nuova prospettiva riguardante la negoziazione degli attori coinvolti che costruiscono significati e pratiche. La risultante è la capacità di influenza sulla propria morte, legata a scelte individuali, quando prima erano collettive: suicidio assistito ed eutanasia, personalizzazione dei funerali, tutto ciò che valorizza l’autonomia delle scelte in cui l’individuo è attore del cambiamento. Poi ci sono le agenzie e le istituzioni coinvolte, per cui la morte appare al centro di strategie di negoziazione costante di significati e di pratiche, e un modello che può essere definito rinascita della morte. La soluzione intermedia tra negazione e rinascita è legata ai rapporti concreti tra vivi e morti, le modalità di gestire la morte, la definizione dei campi tra morte buona e cattiva (ambito medico), i cambiamenti culturali e tecnologici legati all’allungamento della vita.
Tutti questi elementi fanno parte del primo e forse completo più lavoro sociologico sulla morte, pubblicato nel volume: “Morire all’italianaâ€, curato da Asher Colombo. Si tratta di un’importante ricerca che considera anche altre componenti, oltre quelle tradizionali, rappresentati da: veglia; cerimonia funebre; sepoltura. Utilizzando molte fonti teoriche e una comparazione di dati, la ricerca ha utilizzato metodi che spaziano dalle interviste ai questionari, organizzati con il coinvolgimento di ben sei Atenei italiani: Bologna, Bergamo, Milano, Torino, Urbino, Napoli.
I grandi temi affrontati hanno riguardato: la pianificazione del fine vita (testamenti su tutto); la condizione del lutto; l’organizzazione e la gestione dell’evento, con il rilievo delle figure professionali coinvolte; la ritualità e i suoi significati; la sepoltura, la morte e i media; la fine della vita e l’aldilà ; la cultura e le credenze in tema di morte; i legami materiali e simbolici tra le varie generazioni.
La sociologia italiana, sostiene Colombo, non ha sviluppato troppo la ricerca in questo ambito: altri Paesi hanno studiato la morte e il morire, attraverso contributi teorici e di ricerca significativi, soffermandosi negli ultimi anni soprattutto sull’eutanasia e sul fine vita. Altri aspetti hanno riguardato ciò che accade dopo la morte, ovvero la rottura della continuità della trama delle relazioni sociali che va ricostruita. Questa asserzione rimanda alla concezione comunitaria che, temendo di lacerare il tessuto sociale con la perdita avvenuta, reputa indispensabile la ritualità funebre, integrata però dall’organizzazione sociale della morte legata all’industria funeraria, ovvero alla fase di cambiamento delle regole sociali.
La presenza marginale della sociologia all’interno di questi filoni di ricerca ha consentito di organizzare questo lavoro, realizzato da diversi sociologi che si sono occupati di indagare le problematiche più importanti sulla gestione della morte. Partendo da qui si sono definiti gli strumenti di analisi (questionari ed interviste), che hanno permesso di osservare la relazione vivo/morto, con particolare riguardo alla conoscenza degli atteggiamenti e pratiche maggiormente presenti. Le variabili hanno riguardato: sesso, età , titolo di studio, condizione occupazionale, aree geografiche e ambiti territoriali con riguardo alla dimensione dei centri abitati. Il campione era costituito da italiani iscritti nelle liste elettorali. Le interviste semi-strutturate sono state 405, ed hanno coinvolto 191 famiglie, con durata media di circa ½ ora ciascuna, rilevando: età , posizione sociale, area geografica, attraverso: le storie di vita in rapporto alla morte; l’esperienza e gli atteggiamenti nei riguardi della morte; la partecipazione al funerale; la visita al cimitero; le relazioni con l’evento; i riti cui si è partecipato; le credenze; la gestione della scomparsa; le emozioni connesse agli eventi luttuosi; il rapporto tra sé e la morte; le credenze nell’aldilà .
Il questionario (2005 somministrazioni, in 205 comuni) è stato organizzato in 8 sezioni: visite al cimitero (relazione vivo/morto, presente/passato); cerimonie e riti funebri (aspetti pratici del commiato); esperienze della morte (dalla morte/presenza diffusa comunitaria, alla morte nascosta, proibita, negata); organizzazione del funerale (istituzioni coinvolte, costi); cremazione (costi); lutto (istituzione culturale e confinamento nello spazio privato); disposizioni prima di morire (testamento); credenze nell’aldilà (forme di comunicazione con i defunti, contatti tramite figure specializzate).
Di seguito i riscontri più significativi.
Commiato. Il commiato riguarda i riti funebri e le cerimonie codificate, l’organizzazione del funerale, i servizi funebri, la veglia funebre, la preparazione della salma, la vestizione, la gestione del dolore. La direzione è la personalizzazione dei funerali: discorsi, musica, partecipazione, momenti di dolore. Il funerale ha grande rilevanza dal punto di vista individuale e sociale, di condivisione del dolore, di celebrazione dell’unicità della persona deceduta, di solidarietà e vicinanza.
Cimiteri. Luoghi, ovvero un’istituzione centrale, la memoria dei morti, gli spazi dove si instaurano relazioni vivi/morti, passato/presente, con forme ritualmente codificate. Qui la sepoltura è centrale, con differenze nord/sud e una rilevanza della pratica religiosa.
Esperienza delle morte. Dalla morte addomesticata alla morte negata.
Cremazione. Pratica recente. La collocazione delle ceneri nel cimitero rappresenta continuità nella discontinuità (è la pratica della visita ai defunti); la dispersione è discontinuità radicale, per rescindere il legame fisico vivo/morto. L’affido presso le abitazioni è al contrario un modo per mantenere il legame familiare, pur escludendo il coinvolgimento di altre persone nella visita ai defunti. Le forme sono: inumazione, tumulazione, cremazione, che riguardano forse ragioni di natura pratica o organizzativa, anche se è rilevante la componente politica e legata al distacco dalla tradizione.
Cerimonie e riti. Riguardano il commiato dal defunto, gli attori coinvolti, i processi decisionali, la partecipazione ai riti funebri, la presenza di simboli religiosi e le cerimonie funebri, i cambiamenti nelle forme comunicative ed espressive, dalla casa alle sale mortuarie.
Lutto. È la condizione culturale, l’esigenza personale. È anche il passaggio dallo spazio pubblico a quello privato, dalla tradizione alla modernità . Su tutto: elaborazione, esperienza, comportamenti, vestiario, celebrazione, ricordo, conservazione degli oggetti, tipologie di lutto. Il periodo più lungo del lutto si innalza con l’aumento delle età .
Morte online. È l’annunciazione della morte andando oltre i canali tradizionali: è un annuncio pubblico attraverso i media e riguarda spazi nuovi di vivere le pratiche di lutto, ovvero le tendenze future.
Prima della morte. La preparazione si occupa del: cosa fare?: il pensare alla propria dimensione funebre, ai dettagli, al testamento, alla gestione della sepoltura. Sulla pianificazione della morte, 4 italiani su 10 non se ne curano. Solo circa il 9% organizza la fine della propria vita.
Credenze sull’aldilà . Morte, credenze, esistenza di forme di comunicazione con chi non c’è più, pratiche esoteriche mediate da figure specializzate. Norbert Elias sosteneva che l’essere umano è portato a mitologizzare la morte e immaginare un luogo in cui i defunti si ritrovano, perché faticano a gestire la finitezza della vita. Il 54% ritiene che le persone esistano dopo la morte; le percentuali sono più elevate tra i credenti. È importante il ricordo, la sopravvivenza del morto nella memoria del vivo. Il legame tra fede e credenza nella resurrezione dei corpi (idea di Paradiso) è presente soprattutto al sud e nelle isole. La relazione con il defunto è legata a preghiere, messe in suffragio, sogni, presenza della persona amata come forma protettiva, dialogo con il defunto. Il 30,8% parla con i morti; pochi al contrario sono i contatti tramite sensitivi.
Tutto questo lavoro è di grande rilevanza. Eppure le più interessanti questioni hanno riguardato le esigenze comunitarie e quelle delle società più evolute. In particolare, se i dati si intrecciano con classi sociali, ambiti territoriali, tradizione religiosa, accadono alcuni interessanti riscontri. I risultati però lasciano intendere che dove persistono tradizioni consolidate, pensiamo ad alcune aree non molto urbanizzate del sud, oppure dove gli abitanti hanno un livello socio-culturale non elevato, oppure dove i credenti sono maggiori rispetto i non credenti (ancora meglio se c’è un concatenarsi di queste condizioni) i rapporti cambiano: c’è una memoria della morte più accentuata, credenze e ritualità più marcate; una partecipazione fisica all’evento luttuoso maggiore; i cortei funebri e le sepolture più sentite; le spese funerarie più elevate (nonostante il reddito meno alto). Nel centro-nord, con elementi del tutto differenti, status socio-economico più alto e prevalenza di non credenti, prevalgono i decessi in ospedale, la preparazione in anticipo alla morte (testamento), la sepoltura nel loculo. Molti altri elementi non sono particolarmente marcati.
Tutto questo per dire che dove prevalgono i rapporti comunitari più diffusi, e dove la religione è più presente, nonostante il veloce avvento della modernità , persistono pratiche collettive e credenze molto più forti. Le trasformazioni degli aspetti che mantengono le attuali forme rituali si verificheranno in funzione di uno dei fattori emersi dalla ricerca realizzata: il ricambio generazionale.
Il merito di questo lavoro è di aver posto le basi per una prima fotografia della relazione con la morte in Italia che, come sostengono gli autori, potranno in futuro indirizzare studi su specifici aspetti in relazione ad un fenomeno sociale che è in evoluzione e riguarda cambiamenti che si verificheranno nel lungo periodo.